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Bambole d’argilla - Poupées d’Argile
Anno: 2002
Regista: Nouri Bouzid;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Francia; Marocco; Tunisia;
Data inserimento nel database: 12-02-2013


“Velocita, silenzio e occhi bassi.” Nella Tunisia prima della rivoluzione la vita non facile, e ovviamente le donne sono la parte più debole. A raccontarci dei loro drammi, delle loro difficoltà è il regista Nouri Bouzid nel film Bambole d’argilla - Poupées d’Argile. Nel 2002 ci racconta il mercato delle donne di servizio per le famiglie bene di Tunisi. Nella poverissima campagna della Tunisia, le bambine sono richieste per lavorare nella capitale. È un vero mercato di schiavi. Un mediatore si reca dalle madri, le quali sono felici di cedere le loro figlie, perché i loro guadagni sono l’unico reddito possibile. S’inizia subito con il reclutamento di nuove giovanissime lavoratrici. Mentre sono pronte a partire conosciamo il dramma di una madre. La figlia è scappata dalla casa in cui prestava servizio e ora i genitori si ritrovano senza soldi. La madre affronta la sua disperazione attorcigliandosi i capelli in una scena efficacemente evocativa. Omrane, il mediatore, ha un carattere forte, e ci tiene alle proprie ragazze lavoratrici. Un giorno è la piccola Feddha, con la sua bambola di argilla a essere trascinata a Tunisi. È una bambina senza nessuna conoscenza del mondo. “Guarda come sono grandi le case” è lo stupore infantile della ragazzina. A Tunisi incontra Rebeh. Da qualche tempo si trova a servizio, ma la ragazza con la sua ingenuità è stata ingannata e ora si trova incinta di un muratore. Questi sono i tre personaggi della storia. Su di loro e sulla loro vigorosa evoluzione psicologia e sociale cresce la drammaticità del racconto. Il regista conosce bene il suo mondo, non ha paura di utilizzare i toni del dramma, con particolare attenzione per gli attori, tutti ripresi con una visione molto intensa. La fotografia accentua i colori scuri, prevalenti per determinare la concretezza della vita. Bellissima è la scena di Feddha quando, obbligata a lavorare presso una casa, s’impiastriccia di argilla: lei vuole essere una bambola. Lei vorrebbe essere ancora una bambina ma è costretta a crescere repentinamente sotto gli ordini di una ricca famiglia egoista. Il film è l’esempio dell’ottima cinematografia araba, tunisina in questo caso. Molti autori sono cresciuti all’estero, hanno imparato ad adoperare uno stile adatto per la loro società. I personaggi sono pieni di vitalità ma vittime predestinate; desidererebbero ribellarsi. La ragazza entra nel bar, tutti gli occhi sono su di lei. Gli uomini anziani sono ripresi in primo piano con visi rugosi. Lei tristemente afferma “Non ho i mezzi per sognare.” Il film è ricco di scene di genere, riprese al ristorante ovvero al bar. I locali sono pieni di gente, si vendono alcolici. Arriva però l’angoscia provocata dall’integralismo religioso. Il bar deve chiudere e il pavimento è pieno di vetri di bottiglie rotte, un’epoca di volontà libertaria si sta esaurendo. Pellicola elegante, di gusto, riesce a cogliere l’inquadratura utilizzando le linee rette delle pareti, delle porte, su uno sfondo scuro, con una luce centrale per individuare il personaggio. Sono i momenti dei dialoghi ad accelerare la tensione. Omrane e Rebeh si affrontano con un forte pathos, hanno tante questioni da discutere. Il loro dialogo è ripreso ponendo prima a fuoco uno e sfuocato l'altro e poi si sfuma per avere un rapporto opposto quanto inizia a parlare l'altro. Questo comportamento accresce il turbamento emotivo, ponendo i due personaggi come due solitari nel tentativo di gettare un piccolo filo che possa essere ripreso anche dall’altro. Ma la violenza non finirà. Addirittura nel bel centro di Tunisi le donne non si sentono sicure. Un’atavica storia machista non si può superare in poco tempo, tuttavia qualcuno ci prova a parlarne.