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A Royal Weekend - Hyde Park on Hudson
Anno: 2012
Regista: Roger Michell;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: UK;
Data inserimento nel database: 11-02-2013


“La mia croce è che sono troppo buono.” Franklin Delano Roosevelt fu Presidente dagli Stati Uniti dal 1933 al 1945, anno della sua morte. Fu obbligato sulla sedia a rotelle perché fu colpito da poliomielite. La sua fama all’epoca era immensa. Per ben quattro volte vinse le elezioni presidenziali, era conosciuto, rispettato e popolare. Durante la sua presidenza fu costretto ad affrontare la crisi economica della grande depressione e in seguito l’attacco a Pearl Harbor con la conseguente seconda guerra mondiale. La sua residenza era, come oggi, la Casa Bianca a Washington. Ma spesso tornava a Hyde Park on Hudson, nella casa della sua nascita. Diventò la residenza delle vacanze estive e dei weekend del Presidente. E in questa casa ospitò nel Giugno del 1939 il Re d’Inghilterra Giorgio VI e sua moglie Elisabeth. Degli avvenimenti di questa visita parla A Royal Weekend di Roger Michell. Il Presidente era sposato, ma era ammaliato dalla bellezza femminile (Mi ricorda un altro Presidente). Aveva diverse amanti. Una delle tante era della sua città natia: la cugina di quinto grado Deissy. Deissy ci racconta con voce fuori campo la sua visione del Presidente, attraverso il loro feeling. Il regista ci concede un Roosvelt affascinante, potente. Racconta la sua immagina privata e personale di uomo sofferente, vecchio, malandato. L’uomo cerca di nascondere le sue debolezze in pubblico mentre appare per quello che è nel suo privato della sua vecchia casa. “lo aiutavo a dimenticare il mondo” Deissy rimase subito colpita dalla sua seduzione. Il Presidente era felice con lei: si divertivano con scorribande in macchina nella bella e colorata campagna. Insieme sono circondati da luci chiare, solari. La gioia di Deissy è nel verde dei campi della Georgia. Ma il Presidente non è solo. È circondato continuamente da donne. Una burbera madre, una disincantata moglie, una piacente assistente e ora arriva pure la cugina Deissy. È troppo attirato dalle donne, rimanendone succube. Giungono il Re e sua moglie. L’immagine è simmetrica. Il Presidente seduto di fronte a casa, sorridente, ironico, e la parte anteriore della macchina reale arriva lentamente fermandosi a un metro da lui. È l’incontro di due mondi simili ma diffidenti. Gli Stati Uniti sono nati da una costola dell’Impero britannico, quindi hanno una stessa matrice, uno stesso modo di vedere le cose ma stili per esporli completamente contrastanti. Il Presidente lo sa, se non ci si libera dei passati pregiudizi, il rischio di un’Inghilterra in guerra solitaria è sicuro. La seconda parte del film è una continua volontà di confronto fra un presidente popolare e un’aristocratica coppia di sovrani. Il presidente soffre – come ben conosciamo dal Il discorso del Re – di balbuzie. È uno snob, con gravi difficoltà a essere se stesso, e non è preparato ad affrontare degli spregiudicati repubblicani come sono gli americani. È comico quando esprime il suo desiderio di incontrare degli indigeni, di parlare con i nativi. Perciò scende dalla macchina e saluta goffamente, ma da degno sovrano, gli ignari popolani. I quali ovviamente se ne fregano e corrono per la loro strada. Giorgio VI è interpretato da Samuel West, il quale con eccezionale partecipazione facciale interpreta un grande ruolo, alla pari di Bill Murray, a suo agio soprattutto con un beffardo ghigno ironico, come quando lo vediamo preso in braccio dall’assistente per essere trasportato in braccio dentro casa. C’è grande dignità canzonatoria e sarcastica, cui Bill Murray dà forza visiva. La dialettica fra i due mondi è un’altra chiave di lettura. Qui è specialmente la regina Elisabeth a mostrare tutto il suo snobismo. Mentre il Re e il Presidente cominciano ad apprezzare la reciproca ironia, mostrando la loro parte più umana e liberarsi dell’impalcatura istituzionale cui sono costretti. Il regista ci diletta con l’espressione sbigottita della regina quando osserva la camera assegnatagli. Quella tappezzeria non avrebbe ricoperto neppure le pareti delle stalle di Buckingham Palace. Nemmeno la camera del Re è stata risparmiata. Anzi nelle pareti della sua stanza ci sono delle sarcastiche vignette riguardanti la guerra fra americani e inglesi del 1812. “Si prendono gioco di noi”, i coniugi reali guardano attoniti la caricatura: i soldati inglesi sono ridicolizzati disegnati con le sembianze di scimmie. I reali sono soprattutto sconcertati da un particolare del programma della: il picnic con hot dog. “Detesto i picnic” è il grido aristocratico di Elizabeth. Però il Re riesce a costruire un legame umano con il Presidente. Nel loro colloquio privato parlano di donne. Il Presidente sfoggia la sua conoscenza dell’animo femminile. I due sono nudi di fronte uno all’altro. Balbuziente e poliomielitico sono entrambi vittima di sfregi fisici, ambedue devono affrontare pubbliche apparizioni senza debolezze. I due comunicano e si confessano. In un ricco campo e controcampo, i ruoli da distanti si avvicinano sempre di più. La parte umana prevale: uno balbetta e maledice il suo difetto fisico mentre il presidente fatica per andare in scrivania. Sono due deboli fisicamente. La chiusura dell’incontro è ripresa dall’esterno, inquadrando la porta del salone. Si sentono due voci parlare dell’Arcivescovo di Canterbury. La porta si apre e un alticcio re esce dal salone. Fra i due è nata una simpatia, rompendo gli schemi nei quali sono rinchiusi. La regina però non comprende “Noi non ci prendiamo in giro”. I rapporti fra i reali non sono facili. L’incubo del fratello Edoardo è incombente. La moglie affronta le debolezze del marito confrontando la sua volubilità con la disinvoltura del fratello: “Tuo fratello non lo avrebbe mai accettato” la regina lo sgrida; l’inquadratura è di una sovrana incombente ripresa nella parte alta della scena, con il marito in un livello più basso. “Tuo fratello non mangerebbe un hot dog” è un altro rimprovero. Eppure sarà proprio l’atto di mordere uno smisurato hot dog a rompere la diffidenza fra le due popolazioni. Il Re sorridente mangia il poco reale panino, mentre giornalisti e i presenti applaudono. Il Re è diventato uno di loro rompendo le barriere elitarie portate dal Canada. L’hot dog si trasforma nel simbolo della amicizia, perché l’umiltà non è una debolezza ma un pregio. Sullo sfondo c’è la storia d’amore fra il Presidente e le sue donne. Scoppi di gelosia, liti, inseguimenti, ma alla fine l’amore prevale. La pellicola è una ricercatezza d’immagini, di particolari, di attenzione alla costruzione psicologica dei personaggi. Il tono ironico serve a dimensionare i personaggi, con una visione ottima, attraverso una sistemazione degli attori sempre nel luogo giusto. Il problema è un eccessivo susseguirsi di chiave di lettura. La morale finale della voce fuori campo di Deissy ci porta a un’analisi diversa. Il rapporto fra lei e il presidente rimase segreto fino alla morte di Deissy: “Un mondo che ancora permetteva di avere segreti”. Ma è un altro discorso, importante e concreto. In un mondo dove il privato dei nostri politici è considerato pubblico, il comportamento del Re e del Presidente è fuori dal nostro tempo. Però quest’aspetto rimane escluso dal filo principale e da quelli secondari della storia.