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La parte degli angeli - The Angels' Share
Anno: 2012
Regista: Ken Loach;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: UK; Francia; Belgio; Italia;
Data inserimento nel database: 11-02-2013


“Mi ricorda il fiato di mio padre quando ero piccola”. Ken Loach ha la capacità di operare su generi diversi, ogni volta con grande abilità. Il duro, il comunista operaista, capace di rinunciare a un premio per solidarietà di dipendenti già condannati inesorabilmente al licenziamento riesce con grande ironia a disegnare delle storie romantiche e ottimistiche. I sui ammiratori storcono il naso quando Loach si getta anima e corpo in queste storie, lo preferiscono a oltranza con l’elmetto e fucile pronto alla guerra. Si tratta di atteggiamento superficiale perché perfino i racconti sentimentali nascondono un gesto, un fondo politico. La parte degli angeli è un classico esempio. La trama è un crescendo di sentimento, amore, amicizia, paternità. I protagonisti sono giovani, perciò hanno profonde emozioni; a volte contradditori ma sempre forti e intensi. Dietro al gruppo di giovani c’è uno sfondo di un’Inghilterra con profondi problemi sociali, economici. Tanti ragazzi disagiati si trovano limitati e affrontano la realtà con malessere, come se fosse una sfida al mondo intero. Non avendo speranze hanno spregevoli comportamenti, capaci di causare sofferenza. Ma questa è politica, anche rivoluzionaria, non facile da individuare per chi vive la politica come tifo calcistico, pensando che destra e sinistra siano le categorie di bene e male. Già dall’inizio il regista esprime il suo pensiero: “Siamo in una trappola” con un montaggio rapido di una serie di processi a ragazzi. Si trovano ad affrontare un giudice per vari motivi, esprimendo un’umanità caratteriale. È una classica situazione inglese, stilizzata grazie alle loro belle città nere, scure. I quartieri popolari sono il mondo dei giovani amici. I ragazzi condannati negli svariati processi a lavori sociali, si ritrovano con Henry, il capo che dovrebbe guidarli alle loro varie attività. I giovani personaggi sono una via di mezzo fra ingenuità, bontà, semplicità. Non sono dei santi, sono dei truffatori, ladri, violenti, ma non sono ancora condannati, infatti, organizzano un mondo di amicizia. Robbie è un giovane sfregiato da tante risse. La sua fidanzata sta aspettando una bambina. Ancora immaturo non comprende il valore della paternità. Insieme Rhino, Albert e Mo, altresì condannati al servizio sociale, inizieranno un percorso a ostacoli per comprendere la loro vita. Robbie è costretto pure a confrontarsi con il suo triste passato. Incontra una delle sue vittime, un ragazzo picchiato con violenza fino a distruggergli l’esistenza. La scena è alternata con il flash back dell’aggressione. La rabbia futile di Robbie si confronta con le sue lacrime del presente e con la vergogna nell’affrontare gli occhi della madre della sua vittima. Lo stile tende a immagini ricercate ma contemporaneamente semplici. I personaggi sono risaltati con un classico mezzo busto, e con dialoghi lunghi e spontanei. Ma l’Inghilterra deve essere nera. La preferenza di Ken Loach è per gli sfondi neri, una scenografia oscura per esaltare i caratteri. I ragazzi hanno sentimento, romanticismo e tanta passione: “Si è bambini una volta sola”. Henry li aiuterà insegnandogli l’interesse per il whisky. Un mondo frenetico, con tanti appassionati. Si procede con piccoli passi, una metafora della vita, anche essa deve essere realizzata lentamente. Robbie con generosità riesce a trovare la sua strada. Soprattutto trova il modo per uscire dalla sua assurda situazione e perfino di essere un padre e compagno onesto e capace. Durante il viaggio in Scozia in simpaticissimi kilt i quattro amici tentano di uscire dalla mediocrità cui sono costretti. Tentano, lottano, combattono contro la miseria e la desolazione. Serve una bella dose d’ironia, perciò quando uno degli amici pronuncia delle parolacce dentro un autobus pieno di suore, la risposta è fulminate: “Scusate sorelle questi protestanti sono incontenibili”. Per Ken Loach l’ironia è un’arma con cui combatte la sua rivoluzione. Un ricco capitalista americano compra una botte di whisky per un milione e cento mila sterline. Una cifra offensiva, spropositata, una mancanza di buon gusto: il ricco americano si trasforma in un fesso, bevendo di fronte a un pubblico di appassionati un piccolo bicchiere proveniente dalla sua preziosa botte. La speranza prende sopravento, per questo il film procede sui binari giusti, perché non c’è nulla di più rivoluzionario dell’ottimismo.