NearDark - Database di recensioni

NearDark - Database di recensioni

Africa

Godard Tracker


Tutte le
Rubriche

Chi siamo


NearDark
database di recensioni
Parole chiave:

Per ricercare nel database di NearDark, scrivete nel campo qui sopra una stringa di un titolo, di un autore, un paese di provenienza (in italiano; Gran Bretagna = UK, Stati Uniti = USA), un anno di produzione e premete il pulsante di invio.
È possibile accedere direttamente agli articoli più recenti, alle recensioni ipertestuali e alle schede sugli autori, per il momento escluse dal database. Per gli utenti Macintosh, è possibile anche scaricare un plug-in per Sherlock.
Visitate anche la sezione dedicata all'Africa!


Lincoln
Anno: 2012
Regista: Steven Spielberg;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 11-02-2013


“Il mio ultimo barbiere si è impiccato.” La guerra di secessione americana durò dal 1861 al 1865. Furono anni duri, crudeli, dolorosi, violenti, con una stima di circa seicento mila morti. Un numero spaventoso; nella seconda guerra mondiale i morti americani furono intorno ai quattrocento mila. Il casus belli, secondo la storia predominante, fu il tentativo di abolire la schiavitù da parte degli industriali stati del nord, con la finalità di massacrare l’economia sudista, basata esclusivamente sull’agricoltura e sui circa tre milioni di schiavi lavoratori. Con l’elezione del Presidente Lincoln e con la sua volontà di difendere il principio di libertà, gli stati meridionali furono obbligati alla ribellione. Lincoln, il film di Steven Spilberg, ci parla del Presidente inquadrandolo in un frammento della sua vita: la lotta per ottenere la delibera costituzionale del tredicesimo emendamento. L’emendamento recita: Neither slavery nor involuntary servitude, except as a punishment for crime where of the party shall have been duly convicted, shall exist within the United States, or any place subject to their jurisdiction. Sancisce ufficialmente il divieto della schiavitù. A noi appare banale, ma nel 1865 in America non era così semplice rinunciare alla schiavitù, perché perfino al nord, la corrente favorevole alla sua abolizione era minoritaria. Per una lettura più consona del film è bene ricordare la collocazione dell’epoca: il partito repubblicano era quello liberal, mentre i democratici erano i conservatori. Lincoln era un repubblicano, ma addirittura all’interno del suo partito c’erano correnti consistenti contrari all’abolizione. Voleva vincere a tutti i costi. Si trattava di un’affermazione problematica perché per essere approvata, era richiesta la maggioranza qualificata dei due terzi. Iniziò la sua battaglia personale per convincere la totalità dei repubblicani e parte dei membri democratici a schierarsi a favore. Per riuscirci uso tutti i mezzi di persuasione: parlò, declamò, incalzò, moderò, predicò, confabulò con tutti, amici e nemici. Ma non bastava, per ottenere il trionfo necessitava qualcosa di più. Perciò invitò il segretario di stato di non escludere nessun mezzo e lui arruolò al suo servizio una lobby politica ante litteram. Con l’appoggio del Presidente essi cominciarono a contattare i democratici più dubbiosi e riluttanti. Non esitarono a corromperli promettendo posti di lavoro e incarichi pubblici “Gli onorevoli costano poco.” Nel momento più difficile lo stesso Lincoln entrò in contatto con la lobby suggerendogli i modi per convincere i più recalcitranti. “Me ne infischio del modo” e perciò non esitò a dichiarazioni chiaramente false o tendenziose. La sua battaglia doveva essere vinta, troppo importante per la Storia con la lettera maiuscola. Il messaggio di Spilberg è chiaro: parla di Lincoln perché arrivi notizia a Obama. Spilberg non ha mai economizzato il suo appoggio al Presidente Obama. Dopo quattro anni di governo il povero Obama si è dimostrato per quello che è: un personaggio di un film di Mel Brooks incapace di compiere cambiamenti. La sua rielezione ha alimentato nuove speranze. Tuttavia il Presidente hawaiano è prigioniero del congresso, con la sua salda maggioranza repubblicana. Le grandi battaglie di Obama sono deragliate, palesemente per la sua scarsa capacità politica. Il regista gli racconta una storia perché possa comprendere l’insegnamento: basta la politica del piccolo cabotaggio, di misera volontà, di scadente qualità umana. Obama dovrebbe essere come Lincoln: abbandonare la sua diabetica verve buonista e assumere come guida il vero maestro di tutti i politici, l’unico abile a disegnare la volontà di uno statista l’italiano Niccolò Machiavelli. Lo storico e scrittore fiorentino ha costantemente momenti di rinascita, perché il suo raccontare onestamente la capacità del ‘Principe’ è l’eccezione. Che il nostro Obama possa riuscire a capire ho qualche dubbio visto la sua incompetenza linguistica. Ovviamente il regista ha un tono letterario di spessore. Supera la parte politica e tratteggia il personaggio Lincoln parlando del suo privato e della sua vita. Nel gennaio del 1865 il Presidente dell’unione era un uomo vecchio e debole. Era sposato con una donna ossessiva ma sempre premurosa con il marito. In una delle prime scene lui e la moglie sono ripresi, nella loro camera da letto, allo specchio come i coniugi Arnolfini nel famoso quadro di Jan van Eyck. I personaggi si sdoppiano, sono personalità politiche e contemporaneamente individui privati con le loro debolezze, ansie e dolori atroci, senza mostrarli mai di fronte a terzi. Ma Spilberg non lesina i momenti di un Lincoln umano. Lo vediamo in ginocchio mettere legno al camino, prendere a schiaffi il figlio, inviarlo in guerra ma lontano dal fronte. Il figlio è desideroso di arruolarsi, scalpita, freme per partire per la battaglia. La madre non vuole e minaccia il marito Presidente se gli fosse successo qualcosa: “Guai a voi signore dovreste rispondere a me.” Le scene con la moglie sono tante, tutte appaiono come scene madri, perché lei mostra tutto il suo determinato carattere. Le disposizioni fisiche, le posture sono tante; tutte tracciano momenti drammatici, posizioni teatrali e dei dialoghi altisonanti. Molto plateale è il suo atteggiamento alla presenza di altre persone, sia amici sia nemici. Egli li affronta in maniera titubante, riflessivo, silenzioso e di poche parole. Poi si lancia improvvisamente in sparate logorroiche raccontando storielle e metafore vive e piene di efficacia. La sua retorica è irresistibile. È la parte più intensa della descrizione di Spilberg. Esempio: in un momento di pathos intenso per la decisione da prendere il Presidente si ritrova, nella sala di crisi della guerra. È solo con due giovani telegrafisti. Deve scegliere l’approccio migliore nei confronti della delegazione sudista. Con una tonalità di voce bassa, parla ai due giovani soldati, di Euclide attraverso un pensiero profondo, attuale. I due ragazzi sono eccitati e conquistati dalla sua eloquenza. Un attimo di silenzio, Lincoln si solleva per uscire. Il ragazzo ingegnere ci pensa un attimo, si alza, lo ammira mentre si allontana, il suo sguardo raffigura un gesto di rispetto per l'anziano Presidente. Il seguito del film è storia. C’è concentrazione su dialoghi molto intensi, costruiti esattamente per l’uomo furbo e governativo; ma lo Spilberg cineasta è un autore di luce e di fotografia. Tutto girato con colori soffusi, dark, oscuri. Alcuni tratti sono illuminati da flash di luce indirizzati con precisione da un regista spasmodico nella ricerca di perfezione. Lincoln, in un ambiente tenebroso, è centrato da una fonte di luce controllata e limitata. Il suo primo piano è illuminato. Sarebbe comodo parlare degli influssi caravaggeschi, di studio della luce ideale, d’illuminazione ad hoc secondo la situazione. Spilberg tende a raccontarci un uomo politico di grande spessore, di ampie idee, moderno ma altrettanto altero e capace di corrompere, dichiarare il mendace, dimostrarsi sprezzante nei confronti del parlamento. È stato esperto navigatore nel pantano dei partiti, bravo nel promettere a conservatori il contrario di quello garantito ai radicali. Questa duplicità è il colore di Lincoln. Un parallelo con l’Italia è patetico. I nostri politici sono stracolmi di talebani del moralismo più abietto; incapaci non solo di esprimere un fare positivo ma ignoranti nel dimostrare un comportamento machiavellico. Se il fine ultimo è la morale e non il fine, con certi politici italiani attuali avremmo ancora la schiavitù.