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Araf - Somewhere in Between
Anno: 2012
Regista: Yesim Ustaoglu;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Turchia; Francia; Germania;
Data inserimento nel database: 21-09-2012


“Non siamo i fighetti di Istanbul.” La Turchia, come altri paesi in forte evoluzione, nella sua crescita si lascia indietro dei pezzi di nazione. Le disuguaglianze fra gli abitanti della campagna e quelli delle grandi città si amplia. A Istanbul la vita è moderna. Giovani, bar, locali notturni e grandi ambizioni. Ma per i ragazzi di un paesino della campagna, con famiglie tradizionaliste, quali speranze ci possono essere? È il tema raccontato dalla regista Yesim Ustaoglu in Araf - Somewhere in Between. I protagonisti sono due giovani, la ragazza Zehra e il ragazzo Olgun. Vivono nella stessa città, lavorano nello stesso self service. La loro esistenza è monotona, il loro sguardo è sempre puntato fra il ristorante e la strada con destinazione infinito. I divertimenti e le attese di miglioramento sono limitati. Olgun passa la notte a guidare un treno con il rischio di deragliarlo. Fuma, beve, spara cazzate, parla della dimensione del suo pene con l’amico. Olgun è innamorato, non ricambiato, di Zehra. Zehra è più interiore. Lei è una donna, per lei è più difficile andarsene: “Trovati un marito se vuoi andartene.” Le sue pulsioni sono ormonali. La tensione sessuale è alle stelle. Al ristorante incontra un camionista. Nasce fra loro un rapporto senza parole, ma di grande erotismo. Di lui non sappiamo nulla e neppure Zehra conosce qualcosa. Eppure lei è travolta dalla passione e nel suo intimo ha una speranza di andarsene con lui. Tutti i giorni, finito al lavoro attendeva il camion, ma improvvisamente non appare più: e lei aspetta un figlio. È un film dotato di carrellate sui dettagli, di soggettive, di espressioni attraverso vetri bagnati, attraverso reti. Il mondo visto dal piccolo paese turco è diverso, deformato. Zehra osserva la strada, osserva il sogno di fuggire, osserva il suo amore. Olgun è ingenuo, incredulo del comportamento della ragazza. Quando conosce la verità si scatena finendo in carcere. Anche per Zehra i sogni sul futuro sono finiti. In una famiglia tradizionalista, con una madre ossessiva quel figlio non sarà facile da portare. La Turchia laica di Istanbul è distante, è come il camion del suo amante, sa che esiste, ma sa che tutte le volte riparte. La tragedia si compie. Zehra ha tenuto nascosto la sua gravidanza. Una sera ha un forte dolore di pancia e la madre l’accompagna in ospedale. Ha paura, se la visitano potrebbero scoprire la verità. In una scena, terrificante e sconvolgente per tensione umane e per pietà, si rinchiude in un bagno e si provoca un aborto spontaneo. I raccapriccianti resti del bambino sono gettati dalla finestra: “Non sai ancora che cosa è il dolore.” Il film ha un turbamento, un’angoscia con trasformazione in dramma. L’ansia del villaggio è penetrante nella nostra mente. Nonostante la lentezza della camera, l’indugiare sui particolari, sul viso della ragazza, la storia si mantiene viva e reale. I tanti simbolismi fra le due visioni della Turchia aiutano a comprendere le differenze. Eppure il film si concede una speranza, perché la formazione dei ragazzi è avvenuta, e ora sono in grado di affrontare la loro esistenza, raccontandoci un’utopia.