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To the Wonder
Anno: 2012
Regista: Terrence Malick;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA;
Data inserimento nel database: 12-09-2012


“La vita è un sogno. E un sogno non è possibile sbagliarlo.” Recentemente in un’intervista Barack Obama ha affermato che il suo mestiere di Presidente è guidato dalla sua fede cristiana. Ha dovuto ribadirlo alla vigilia di una nuova elezione. Negli Stati Uniti è un atto dovuto, una conferma della presenza essenziale della religione nella attività pubblica quotidiana. Questo perché la vita sociale degli americani avviene all’interno delle comunità religiose, che sono il principio base della guida politica. La religione è politica, e il suo sviluppo si forma nel suo interno. Aspetti sociali inconcepibili per noi europei (ovviamente parlo di Europa Occidentale, perché in quella orientale il discorso è opposto). Noi siamo legati a un concetto di laicismo come valore, retaggio di un pensiero illuministico e del suo braccio armato: il positivismo. In America uomini di cultura illustri non si pongono il problema di mostrare la loro spiritualità in modo pubblico. Queste ragioni rendono urticante in Europa un film come To the Wonder di Terrence Malick. Il regista è un cineasta notevole, con una visione cinematografica unica. In questo periodo l’autore americano, come già successo in The Tree of Life, ha la necessità di raccontarci il suo dubbio religioso, la sua spiritualità interiore. Per riuscirci utilizza il mezzo da lui meglio conosciuto: il cinema. La descrizione è un disincantato disegno artistico: un affresco pulito, splendido, colorato. Il film non ha una trama classica, non ha una struttura consueta. All’inizio ci racconta una storia d’amore bellissima, potente. Il tutto avviene con immagini, senza dialoghi, senza un filo conduttore. Partiamo da Parigi. Una coppia di amanti esplode nell’amore ricco e sognante. Nel luogo di nascita dell’illuminismo, l’atmosfera è riscaldata dalle campane delle chiese. Da Parigi, la coppia rafforza l’attrazione in un viaggio nella superba e serena Mont Saint-Michel. Gli amanti camminano nella sabbia osservando l’arrivo dell’alta marea. Dalla Francia ci spostiamo nei gialli campi della campagna della provincia americana. Una terra deliziosa, ma in alcuni punti segnata da un infernale inquinamento di case, campi, scuole. È la metafora di un segno deleterio dei nostri giorni, di una disumana distruzione della natura. Il delirio tenero, delicato della coppia è circondato da un’angosciosa malinconia. Malick da una parte ci presenta la perfezione dell’uomo e della natura, dall’altra la voce fuori campo della donna commenta le scene al passato. Già dall’inizio conosciamo l’esito negativo del rapporto. Il film ha dei rari dialoghi, la voce fuori campo è il contraltare delle immagini. Le parole sono un pensiero lieve, leggero, come quando sentiamo nella nostra testa una pena, una perplessità per la nostra vita. Dobbiamo dare una ragione alla domanda ultima: perché viviamo? Anche quando il pensiero entra sottile nella nostra mente e nel nostro cuore continuiamo a vivere la nostra colorata esistenza. Così è To the Wonder di Malick. Un pensiero continuo accompagna la nostra consuetudine quotidiana. Le idee astratte più vicine a Malick arrivano con l’apparizione del prete Quintana: Javier Bardem. È un prete della provincia. Svolge la sua opera ecclesiastica con passione e carità. Lui crede nella sua vocazione, nella sua scelta di vita ma quando affronta la realtà, i dubbi arrivano all’istante. Il prete visita le miserie della prigione, le difficoltà dei prigionieri, la povertà delle malandate case dei bassifondi, gli ammalati negli ospedali. Di fronte a queste verità materiali il prete si pone delle umane domande. Esamina il contrasto fra le parole delle sue prediche in una chiesa vuota e un mondo beffardo. Malick continua il racconto. Perché nel paese americano un altro innamoramento nasce e sostituisce il precedente, ma anch’esso dovrà affrontare la sua esaltazione parossistica e la sua infame conclusione. Però Malick continua a elogiare l’amore, anche se le debolezze umane, inesorabilmente, smantellano ogni tentativo. “L'amore comprende la totalità dell'esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l'amore mira all'eternità.” (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe Salvi) L’amore è eterno, nonostante l’uomo sia debole, perché il suo concetto sopravvive a tutti noi. La nostra fragilità non implica la decadenza del concetto dell’amore. Questo propugna Malick. L’amore fra le persone, l’amore per Dio sono immensi, ma contemporaneamente lo stesso sentimento può scendere agli infimi di fronte alla nostra instabilità. Il film continua con valori e con debolezze. Malick è un maniaco della comunicazione visiva, il suo occhio permette l’apparizione di un miraggio scenico, il quale avvolge la realtà. Costruisce la storia – apparentemente - girando alla rinfusa, costringendo agli attori a concedersi placidamente nel suo futuro lavoro. L’attore è plasmato, una vittima del sadismo di Malick. Una volta registrato l’impossibile, arriva il superbo montaggio. Tutto è incastrato, tutto emerge al posto giusto. Il risultato: la casualità diventa impeccabilità. Ogni scena ha un valore, ogni momento appartiene all’intelletto e allo spirito del regista. Fortunatamente non si concede con parsimonia, anzi riempie tutti gli istanti di primo piano, inquadrature tagliate, visioni oblique, perché il mondo non è monocorde, non è un campo fermo. L’esistenza, vissuta quotidianamente, è multiforme, complessa, turbolenta. Però siamo capaci di produrre pure gioia, felicità, come per la nascita di un figlio di The Tree of Life. Tutto è perfetto, delizioso salvo poi trovarci di fronte un misticismo improvvido. Depurato dalla fonte di ascetismo dell’anacoreta Malick, il prodotto finale ha una divina confezione. Voci di apparizione del regista circolavano spasmodicamente a Venezia. Si dice che abbia assistito in incognito alla proiezione del film, che abbia corteggiato un giovincello biondo di nome Tadzio, che abbia camminato sulle acque del Lido, che abbia trasformato l’acqua in spritz. Eppure Malick è solo un uomo dubbioso e inquieto. Se sente la necessità di raccontare gli intimi reconditi spirituali del suo animo, nessuno può impedirglielo. Intollerabile per molti, in realtà il film è scuola di cinema. Certo, a volte i testi appaiono estremisti. Volete alcuni esempi? “Come ha fatto l’odio a sostituire l’amore?” “Devi combattere contro te stesso.” “L’amore che ci ama.” “Io sono l’esperimento di me stessa.” “Cosa è questo amore che ci ama?” “Io in te.” “Tu in me.” Sentendo alcune di queste sentenze, sparate nel cosmo, ho sentito la necessità di grattarmi. Un po’ di urticaria è quindi un effetto collaterale di Malick.