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The Legend of Suriyothai
Anno: 2001
Regista: Chatrichalerm Yukol;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Thailandia;
Data inserimento nel database: 17-03-2012


“Sacrificing our life, however innocent to end bloodshed across the kingdom.” La Thailandia nel millecinquecento non era esclusa dalle tante diatribe sanguinarie, al pari di quelle presenti in Europa e negli altri paesi asiatici. Il Siam – nome dell’epoca dell’attuale Thailandia – era ancora una nazione disunita, con tanti stati piccoli e ingombrati per la loro ambizione. Le lotte erano quotidiane e infami. Oltre questi turbamenti, il Siam era soggetto a violente incursioni dei potenti regni confinati: la Birmania, il regno Laotiano e quello dei Khmer. Il film si basa sugli avvenimenti accaduti dal 1529 al 1548. Gli intrighi di potere sono ricchi di potenzialità avventurosa, perché pieni d’intrighi, complotti, congiure, con battaglie furiose, spedizioni d’eserciti numerosi, a cui si deve aggiungere anche tanta passione e sesso. Nel 1529 la principale città del regno era Ayutthaya. Regnante era Rama II, il quale aveva accettato le lusinghe dei portoghesi sbarcati con successo sulla penisola della Malacca. Gli europei adescarono i tailandesi, per ottenere un territorio, offrendo i loro servigi militari e soprattutto gli efficaci cannoni che ancora rappresentavano una rarità nell’Asia del tempo. Ma nel palazzo le cospirazioni erano degne d’attrazione per narratori di storie come sono i registi tailandesi. Nel film ci sono re uccisi dalle mogli, principi ereditari bambini giustiziati con crudeltà ma anche lealtà e fedeltà. Un popolano ha una tresca sessuale con la regina, la quale con tradimenti e perfidi omicidi, costringerà l’aristocrazia a farlo eleggere re. Le macchinazioni violente della regina disgustarono i nobili, i quali spaventati da tanta protervia sterminarono la famiglia reale. Il legittimo erede era il principe Thìen Ràcià, il quale nel frattempo si era rinchiuso in un monastero buddista come bonzo. Accolse l’invito di diventare sovrano prendendo il nome di Mahà Çiàkraphàt e regnando fino al 1569. I birmani erano una potenza terribile in quegli anni. Il loro esercito era immenso, raccapricciante per crudeltà e con una spinta militare terrificante. Nel 1548 le loro armate arrivarono fino alle mura di Ayutthaya. Impavido, il prode re tailandese accettò la sfida e cavalcando il suo elefante assalì apertamente il superiore nemico. A suo fianco cavalcava l’intrepida moglie: la regina Suriyothai. Nonostante le preghiere di rimanere entro le mura cittadine, in quanto non era compito delle donne gettarsi all’offensiva, corse in difesa del marito. Con eroica baldanza la regina entrò nella battaglia. La sua furia in difesa dello sposo e del regno era di un eroismo nobile capace di commuovere e spronare tutto l’esercito. Ma come accade sempre nelle epiche lotte la regina perdette la vita colpita dalle armi di un ufficiale birmano. Spinti dal desiderio di vendetta, l’esercito tailandese attaccò e scaccio l’eterno avversario in rotta verso i confini. Il film diretto Chatrichalerm Yukol e prodotto per la versione americana da Francis Ford Coppola racconta la vita della regina Suriyothai fino alla sua leggendaria morte. La scelta dell’episodio non è casuale. Si prende un frammento di storia e lo si mitizza per realizzare un comune senso d’appartenza e d’identificazione nazionale. In Thailandia, questo ruolo è rappresentato dal re, ma si voleva istituire il lato femmineo. La glorificazione nazionalista avviene con tanti simboli scagliati per tutta la durata della storia: il ventaglio a forma di stupa, le danze locali espresse anche durante l’uccisione del re bambino, i canti tradizionali, la prevalenza del rosso, la sacralità del buddismo e l’inviolabilità dei monasteri. La volontà del regista è esprimere ed accattivarsi il forte sentimento patriottico dei tailandesi. Gli elementi unificatori devono prevalere, recidendo definitivamente le mostruose tensioni interne. L’identificazione nazionale ha necessità di un nemico esterno, forte e dominante. L’esercito birmano è possente ed è adatto a svolgere questo ruolo. La sua superiorità è innegabile, la debolezza dei tailandesi è certa. Solo un gesto di mitico sacrificio umano può capovolgere la situazione. La regina Suriyothai è il simbolo della creazione di una base comune per esaltare l’amore per la Thailandia. Il regista non ci risparmia tradimenti, complotti, assassini, sesso; eleganti sono le scene di massa, anche se manca di velocità e schemi di guerra come per il cinema più recente.