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Prima della rivoluzione
Anno: 1964
Regista: Bernardo Bertolucci;
Autore Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: Italia;
Data inserimento nel database: 22-06-2011


“Non si può mica vivere senza Rossellini.” A Parma, nel 1940, da una ricca famiglia, nasce Bernardo Bertolucci. Suo padre è il poeta Attilio Bertolucci, personaggio con aderenze notevoli nel mondo culturale dell’epoca. Tanti parenti - il cugino Giovanni produttore e il fratello Giuseppe regista – saranno legati indissolubilmente alla nomenclatura culturale italiana di tutti i periodi. Nel 1962 a Parma il giovane Fabrizio combatte le sue utopiche idee nella confusione totale. E’ figlio di una benestante e borghese famiglia, coltiva le sue idee alla moda comuniste e rivoluzionarie. Vuole essere diverso, e finisce a non essere nulla. Questo è l’inizio del film di Bertolucci. Questa volta ci trasporta nel suo mondo, nella sua città, con la sua gente. E’ proprio la città ad imprigionarlo. All’inizio una panoramica dall’alto ci mostra case e palazzi. Pare immensa, in realtà è ancora un piccolo paese dove borghesi e contadini spartiscono lo stesso spazio. L’amico di Fabrizio, Agostino – l’attore Allen Midgette, già visto in La commare secca e successivamente con Andy Warhol – sarà la prima vittima di questa claustrofobia. Voci fuori campo, atteggiamenti teatrali, posture costruite, camera lenta e dettagliata, iconografia esacerbata sono i termini ed il linguaggio del film. La borghesia diventa una logorroica disamina del vuoto di pensiero. Gina – la giovane e bella zia di Fabrizio – ha un perpetuo blaterare senza senso, senza nessun attaccamento alla realtà. E’ completamente persa, sconfitta, nonostante la sua ricchezza. Cerca disperatamente il suo psicanalista. I monologhi sono tanti e predominanti. Le tantissime parole sono la colonna sonora delle immagini ricercate e artefatte. Ma Bertolucci ha senso poetico. Per descrivere Gina gli basta una carrellata sulle foto della sua vita. In questo banale gesto riusciamo però a leggere tutta la sua storia, la sua esistenza e le sue difficoltà. Non c’è bisogno di vuote parole, solo di silenzio. Il successivo gesto sarà capovolgerle una dietro l’altra. Questa è la borghesia di Gina e di Fabrizio. Il fiume Po è maestoso, a volte deborda come le chiacchiere. Tutti si mettono in posa teatrale, in un attimo di sospensione, attendendo l’evento che mai arriverà. Una radio illimitata racchiude lo schermo e Gina si colloca ad ammirarla con aria persa. Il lavoro è inesistente. Ma esiste Proust, Wilde, Pavese. Recitano il Manifesto, ma ignorano la vita, gli operai, i contadini. La possibile povertà non crea paura o sconfitta ma un’incredulità aristocratica all’accettazione d’eventi impossibili. Tanti di questi caratteri li ritroveremo in Novecento: sconfitti da qualsiasi parte si possa scegliere di stare. Per i figli della borghesia non c’è scampo, ma ben più grama sarà la vita dei figli dei proletari. La mano del regista è molto evidente. E’ come il fiume Po: debordante. Il suo decadentismo di un mondo utopico e finto raggiunge l’acme nel suo finale imperioso. Al teatro regio di Parma è in corso la rappresentazione del Macbeth di Verdi. Nonostante la forte sonorità e maestosità, Fabrizio è impossibilitato di liberarsi della sua condizione di alienato. Affronterà Gina e dietro il canto operistico si nasconderà. La sua strada all’indietro è già compiuta. Poco importa se non è quella desiderata. L’incapacità di esprimersi, di essere consapevole renderà impossibile qualsiasi gesto di rivoluzione, e non parliamo di proletariato o politica, parliamo di rivoluzione personali e private. Il contraltare del Macbeth è la festa dell’Unità, conclusione in questo caso dell’amicizia fra Fabrizio e Cesare – il critico Morando Morandini – suo precettore politico. I film devono essere storicizzati e osservati con gli occhi del tempo. Nonostante tutto Prima della rivoluzione sembra essere invecchiato male. Fabrizio incontrerà al cinema un amico. Un ‘’esperto’’, un critico. Lo intontirà di verbose, ridondanti, prolisse analisi fuori senso sulla capacità del cinema di esistere. Fabrizio è preso dalla sua realtà, dalla sua sfiduciata esistenza, non comprende e non gli interessa una smodata ispezione di un gesto cinematografico. Ecco, questa è la pellicola di Bertolucci, non sa liberarsi di un atteggiamento sofisticato. Nel tempo il tutto sembra una sconfitta bruciante.