2046. Wong Kar Wai. 2004. HONG KONG-FRANCIA.
Attori: Tony Leung, Gong Li, Zhang
Ziyi, Maggie Cheung, Faye Wong, Kimura Takuya, Carina Lau, Chang Chen
Durata: 120’
Hong Kong. Lo scrittore Cho Mo-wan ripensando alle proprie
avventure, e vivendone di nuove, scrive un romanzo ambientato nel futuro, nel
2046, ricostruendo i suoi amori, le sue donne, e cercando di ipotizzare cosa
possa accadere ai protagonisti di cui scrive in questo percorso verso il futuro.
Interpreti dei suoi racconti soprattutto le donne, che lo hanno convinto a
scrivere d’amore.
Nel precedente lavoro del regista, In the mood for love (2000), la cifra che questa volta è usata come
titolo, indicava invece la stanza nella quale l’amore dei due protagonisti non
riusciva ad incontrarsi. Prendendo spunto da quella storia questa volta Wong
Kar-wai sceglie di parlare ancora una volta d’amore, ma forse in maniera
biografica, costruendo un film che parla di ricordi, avventure perse e segreti
celati ancora una volta fra le nodosità d’alberi centenari. Il protagonista
principale, infatti, oltre ad avere lo stesso nome e la stessa professione di
quello precedente, ed interpretato sempre dall’eccellente Tony Leung, raccoglie
in sé un’energia che forse lo stesso regista ha vissuto e che ad un certo punto
della sua carriera ha sentito necessario tirar fuori. Da un certo punto di
vista 2046 mi sento di vederlo come la versione di
Hong Kong di 8 ½ (1963) di Federico
Fellini, ricca di passaggi temporali, capace di parlar d’amore, di scrittura
(che è anche cinema) e soprattutto di parlare del presente in chiave futura,
perché 2046 è soprattutto la data in cui Hong Kong tornerà definitivamente a
far parte della Cina, e in qualche modo allora 2046 diventa già un ricordo, proiettato nel futuro, di quella che
era Hong Kong durante gli anni Sessanta. Sensuale come il precedente film (ma
anche come la maggior parte delle pellicole di questo regista), il film sembra
ripercorrere lo stesso tragitto, tra sinuose donne che attraversano il campo
dell’immagine sospinte da un tangibile (seppur accennato) erotismo, ed un uomo
la cui sola presenza affascina, tra pensieri, anelli di fumo, ed immaginazione
che attraversa i tempi, storici quanto narrativi. Rispetto alla costruzione di
questa nuova storia, il regista si è detto felice soprattutto di aver
contraddetto tre delle principali regole del cinema di casa, cioè quella di
aver utilizzato un personaggio che svolge un’attività intellettuale, di aver
adottato la voce narrante fuori campo ed infine di aver utilizzato brani
musicali operistici (tre cose che solitamente il cinema di Hong Kong non fa) [i]. Proprio
facendo riferimento a quest’ultima particolarità, l’uso delle musiche, il
regista questa volta si è avvalso sia della collaborazione originale di
Umebayashi Shigeru (leader del gruppo giapponese Ex) sia di brani rimpastati
come tema musicale dell’intera pellicola (Siboney
di Xavier Cugat rifatta in diverse arie) che di altri ripresi da pellicole precedenti
come Finalmente domenica! (1983) di François
Truffaut. Il film è stato presentato a Cannes ancora incompleto di alcune
inquadrature, poi aggiunte nella versione definitiva uscita in tutte le sale.
Mario Bucci
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