L’anticristo.
Alberto De Martino. 1974. ITALIA.
Attori: Carla Gravina, George
Coulouris, Mel Ferrer, Arthur Kennedy, Umberto Orsini, Mario Scaccia, Remo
Girone
Durata: 115’
La paralitica Ippolita Oderisi, bloccata su una sedia a
rotelle fin da piccola, da quando cioè perse la madre in un incidente stradale,
prova a chiedere la grazia ad un santuario, ma gli è rifiutata. La donna cade
in depressione, ma con l’aiuto di un medico, scopre anche che a bloccarle le
gambe è un trauma e non qualcosa legato al suo fisico. Grazie all’ipnosi, il
dottor Marcello Sinibaldi riesce ad individuare la causa del trauma: le fiamme
che avevano arroventato l’auto durante l’incidente le ricordavano il rogo di
un’altra vita dove lei era stata condannata a morte perché si era accoppiata
con il Maligno. L’ipnosi sembra risolvere i problemi di Ippolita
che può così riprendere a camminare, ma il demonio che l’ha posseduta si
manifesta in tutta la sua potenza, facendole prima compiere un omicidio, poi
facendole avere rapporti incestuosi con il fratello Filippo ed infine
offendendo tutti, mostrando la sua potenza. L’intervento del vescovo suo zio,
Ascanio, non fa che confermare una certezza: Ippolita ha bisogno di un
esorcismo. Viene allora chiamato un sacerdote che, grazie anche alla fede del
padre di Ippolita, scaccia il demone dalla ragazza.
Alberto De Martino, ad un anno di distanza dal più famoso
film realizzato sullo stesso tema, L’esorcista
(19739 di William Friedkin, è stato capace di realizzare una pellicola che ha
davvero poco da invidiare a tutte le altre che si sono volute cimentare con il
tema della possessione maligna. Le differenze con il campione d’incassi
americano sono sostanziali: l’ambientazione prima di tutto (quella italiana,
intrisa di misticismo secolare), l’origine dell’orrore (ne L’esorcista l’origine è il Male, nel film italiano l’origine invece
è nello stesso Bene, tanto che appare la figura maligna di Gesù), ma anche il
gesto della fede, in questa pellicola più importante rispetto a quella diretta
di William Friedkin, dove la crisi di fede è del prete, e non del soggetto che
subisce la possessione, abbandonato da Dio. Certo, Alberto De Martino sceglie
anche la difficile strada di aggiungere altra carne al fuoco (il comportamento
sessuale dell’indemoniata, strutturato su processi freudiani di natura edipica)
ma non è così ingenuo da lasciarsi sfuggire dalle mani il corpus della
pellicola, in alcuni punti davvero agghiacciante. La fotografia di Aristide Massaccesi (in arte Joe D’Amato),
l’interpretazione di Carla Gravina e le musiche di Ennio Morricone (dirette dal
maestro Bruno Nicolai) aggiungono il giusto necessario ad un film dimenticato
dalla critica, poco apprezzato, ma che è un vero cult nel genere. Rivedere la
scena della grazia ricevuta dalla prima donna nel santuario per capire come
alcune volte il cinema italiano di genere sapeva farsi valere.
Bucci Mario
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