In
un universo trapuntato di stelle e pianeti (come lo si può ammirare distesi
su una chaise longue all'interno di un planetario, pur essendo non troppo
comodamente seduti su una poltrona di una sala cinematografica), ecco
volteggiare uno strano oggetto in movimento, non è un asteroide o
un'astronave aliena, bensì un comune ombrello rosso, che diventa
riconoscibile man mano si avvicina al campo scrutato dall'ottica di un
cannocchiale astronomico, attraverso le cui lenti si è invitati a fruire lo
sviluppo del film.
Grazie alla vista impressionata in quel cannocchiale prende vita una città
degna dei racconti delle Mille e una notte, capace di ospitare al
proprio interno una storia di tradizioni culinarie tramandate da una
generazione all'altra, il cui sapore è possibile gustare soltanto
immergendosi in quel mondo di fiaba, che ammanta la narrazione di un
sostrato immaginario, senza per questo tralasciare retrogusti dolci-amari,
riconducibili a eventi attestati dalla storia. In dissolvenza si passa
dall'immagine del cosmo filmico a quello stampato su un foglio, estratto
da una stampante, e immediatamente si coglie la differenza tra i due
universi: la copia statica e riproducibile non permette agli spettatori di
notare l'ombrello volteggiante presente invece nella precedente visione,
perché l'invisibile, che dà sostanza ai sogni e anche fragranza ai cibi,
è ovviamente nascosto e lo si può intercettare solo con la forza del
desiderio o una progressiva educazione dei cinque sensi. «Nel cielo ci
sono cose che si possono vedere e anche non vedere»: aveva insegnato il
nonno Vassilis al giovane nipote, Fanis Iakovidis, che, una volta diventato
adulto, si ricorderà di questa notazione e, pur scrutando la volta celeste
con gli occhi di un astrofisico, non dimenticherà mai di indossare occhiali
speciali: un'appendice ottica di collegamento tra la realtà attuale e le
reminiscenze sublimate della sua infanzia. Quest'ultima fu per lui un'età
dell'oro: profumata di spezie, annusate nella drogheria del nonno tra
grappoli di aglio e peperoncino, con le dita immerse in colorate polveri
aromatiche e lo sguardo incantato a seguire la magia di una danza inscenata
per lui da Samie, la bambina che ha carpito il suo cuore. L'ombrello rosso
non impressionato dalla stampa ha però il potere di aprire lo schermo su
uno scenario altalenante tra ricordi reali e immagini remote ammantate di
poesia, rituali e mitiche al contempo, allestendo un banchetto da assaporare
un poco alla volta: dall'antipasto (di carattere fiabesco), al piatto
principale (di matrice autobiografica), per finire con il dessert (di stampo
storico-politico); un pranzo filmico originale, a tratti un po'
sentimentale e nostalgico, capace di amalgamare al proprio interno ricette
elleniche con sapori orientali.
Sinossi
Fine anni cinquanta: Fanis cresce nella bottega del nonno Vassilis che ha un
modesto commercio di spezie presso il mercato di Costantinopoli. Il piccolo
coltiva due passioni: la gastronomia, ovvero l'amore per i piatti greci
della famiglia paterna, conditi con le spezie orientali a cui lo inizia
invece il nonno materno di origine turca, e l'astronomia, ossia l'amore
per le stelle e i pianeti. Crescendo imparerà a coniugare questi due
interessi, perché «la parola gastronomia contiene in sé anche la parola
astronomia», come gli aveva insegnato l'anziano parente.

Fanis
sarà costretto, insieme ai genitori, a lasciare la sua città, quando nel
1964, a causa del conflitto fra Turchia e Grecia per gli eventi avvenuti a
Cipro, i Greci di Istanbul (o Costantinopoli?) verranno deportati in patria.
Il giovane lascerà in Turchia il nonno, le sue spezie, l'amica Samie, di
cui resterà innamorato per tutta la vita, ma conserverà nel suo cuore
l'amore per la Costantinopoli (o Istanbul?) conosciuta durante
l'infanzia e abbandonata a malincuore, i cui sapori multietnici si
rinnoveranno ogniqualvolta gli verrà consentito di preparare un piatto o di
annusare una cartolina, impregnata di profumati aromi, per lui preziosi.
L'inquadratura
di un seno materno dai capezzoli turgidi, spolverati da un impercettibile
velo di zucchero, per essere meglio succhiati dalla bocca di un bimbo che
sta imparando il piacere di nutrirsi, risulta prolettica dell'intero film
(e troverà modo di essere replicata anche nello sviluppo successivo, pur
riferendosi ad altre naturali tappe di crescita di un individuo): l'atto
di cibarsi come metafora dell'intera esistenza, che inizia con
l'allattamento, per poi svezzarsi, abituando le papille ai gusti agrodolci
che la vita riserva nel corso del tempo. Se poi si ha la fortuna di essere
educati da chi ci precede a riconoscere gli ingredienti che danno sapore
agli eventi che capitano, e soprattutto in che modo amalgamarli tra loro
perché si compenetrino, senza perdere la loro fragranza originaria, allora
si sarà in grado di preparare di volta in volta piatti che aiutano a vivere
meglio, mescolando il rispetto delle proprie tradizioni con quelle altrui,
insieme all'amore per i segreti che nascondono. Così facendo si potrà
migliorare anche il proprio gusto, educandosi a tollerare i sapori e le
spezie di tutti gli universi. Si direbbe sia questa la ricetta principale
del film Un tocco di zenzero (Grecia-Turchia, 2003) del regista
Tassos Boulmetis, che tra una sequenza e l'altra viene svelata anche dalla
voce narrante, che si scoprirà appartenere a Fanis, il protagonista della
storia, che nel doppiaggio italiano ha la fortuna di essere interpretato
dall'avvolgente voce di Roberto Pedicini, meglio conosciuto come Jack
Folla.
In un'intervista il regista Boulmetis spiega che il titolo originale del
film Politiki Kouzina ha un doppio significato in greco ed è
intraducibile. «Il gioco di parole è fra la cucina della polis, della
città (Istanbul), la cucina che viene da Costantinopoli, e la cucina
politica. Da una parte volevo parlare delle tradizioni culinarie della
minoranza dei greci in Turchia e dall'altra mostrare, attraverso il rito del
cucinare, come la politica possa interferire nella vita privata».
L'astrofisico
Fanis sta concludendo il suo corso universitario, congedandosi dagli
studenti poiché in procinto di partire forse per una vacanza, quando viene
raggiunto dalla notizia che il nonno starebbe per arrivare ad Atene: sono 35
anni che i due non si incontrano. Vassilis aveva promesso ai familiari di
andarli a trovare in Grecia, ma, tra una scusa e l'altra, aveva sempre
finito per venir meno alla parola data, sostituendo la sua presenza con una
radiografia, sempre la stessa riferita a una sua vecchia ferita di guerra,
spedita alcune volte ad amici e parenti, curiosamente in coincidenza con gli
eventi che sconvolsero la storia della nazione greca: il contenzioso
greco-turco su Cipro nel 1964 o il golpe dei colonnelli nel 1967. Non a caso
il suo primo dolore alla spalla, attribuito al riacutizzarsi proprio di
quella ferita, si manifestò in occasione dell'inizio della questione
cipriota.
Un quartetto di vecchi amici del nonno, sincronizzati tra loro, quasi
fossero magnetizzati come l'ago di una bussola (quando devono dare
un'informazione o decidere dove dirigersi, guardano a destra, poi a
sinistra, poi ancora a destra, infine si risolvono, fiutando l'aria come
fosse anch'essa fatta di spezie da annusare: un tic che verrà ereditato
anche dal giovane astrofisico, quando sente il bisogno di trovare un
orientamento, di riequilibrarsi), si precipitano a casa del nipote che lo
vuole omaggiare con un pranzo degno dell'evento, ma anche stavolta
l'anziano Vassilis non si farà trovare all'aeroporto, dove si era
recato comunque senza passaporto, poiché ricoverato d'urgenza presso un
ospedale di Istanbul. Fanis non ha il piacere di offrire al nonno i piatti
di quella che in realtà gli era sembrata più come "un'ultima cena",
sospesa dallo squillo del telefono, annunciante la triste notizia, che viene
a interrompere anche il brindisi a base di ouzo da parte degli amici.
La
prolessi, stavolta sonora e come al solito ribadita dalla voce off del
protagonista che funge da cucitura narrativa tra il presente e il passato
(«Ogni evento della mia vita è stato scandito dal suono del campanello di
una porta o dallo squillo di un telefono»), crea il pretesto per
introdurre lo scenario magico di una Istanbul, immersa nei primi anni
sessanta, perlustrata ad altezza tetti lungo la riva orientale del Bosforo.
Le riprese in digitale, montate in postproduzione, prendono le mosse da una
carrellata all'indietro che, a partire da un minareto, scopre man mano la
cupola di una moschea e una teoria di tegole, trasformandosi poi in una
panoramica di interni, volti a mostrare un bazar, occupato da animali e
persone in movimento, per finire con il coincidere con lo sguardo del
bambino, impegnato a osservare dall'alto verso il basso, appollaiato su
una scala di legno, la bottega del nonno, impregnata di luci soffuse dalle
calde tonalità ocra-pastello, come fossero anch'esse impolverate dalle
spezie che occupano lo spazio circostante. In questo regno opera Vassilis,
dispensando consigli, culinari e non, sia alla casalinga desiderosa di
conquistare il palato del suo amato («Nelle polpette è meglio aggiungere
lo zenzero: il cumino le aggredisce, mentre lo zenzero è dolce», lo
stesso ingrediente "nascosto" nelle polpette preparate da Fanis a Samie
prima che arrivi il marito a comprendere che ha interrotto un rito di
seduzione), che al diplomatico turco, dando prova di maggior diplomazia,
insegnando come fondere i gusti per creare un'amalgama unica, anziché
privilegiare la netta separazione dei sapori (o delle etnie).
Se le sue alchimie hanno il potere di affascinare il nipote e anche di
incantare il figlio del diplomatico, che vorrebbe studiare le virtù
medicinali e terapeutiche delle spezie per prepararsi a una brillante
carriera da ufficiale medico, non altrettanto avviene per il padre di
quest'ultimo, per nulla irretito dai saggi discorsi del droghiere, a cui
risponde con il repentino gesto di mostrare come, con una sola stretta di
mano in un pugno deciso a stringere con violenza, una noce forte riesca a
schiacciare quella debole: la minoranza non deve essere rispettata, ovvero,
fuor di metafora, i pochi greci residenti a Istanbul si preparino al più
presto a fare le valigie!
Questa
sarà infatti la sorte che spetta al padre di Fanis, non tanto perché non
apprezza che i piatti greci vengano insaporiti con spezie turche ("Le
spezie non servono più da quando abbiamo il frigorifero"), ma perché sarà
costretto dall'Ufficio Immigrazione, che non rinnova il permesso di
residenza né a lui né al resto della comunità greca abitante a
Costantinopoli, a lasciare Istanbul per un ritorno forzato in madrepatria.
Questa drastica risoluzione, assunta dal governo turco, facendo propria solo
la legge del taglione, intesa come unica risposta ai fatti di Cipro: «I
nostri fratelli turchi a Cipro soffrono di giorno in giorno...», finisce
solo per aggiungere alla sofferenza degli uni anche quella degli altri,
privando entrambe le comunità del diritto di scegliere in quale fetta del
mondo abitare. Per fortuna il ragazzo ha ancora il tempo di scoprire la
magia dell'universo, sia attraverso le lezioni che gli impartisce il
nonno, adoperando sempre le spezie in maniera allegorica («La cannella è
dolce e amara come le donne, di cui Venere è la rappresentante per
eccellenza, mentre il sale incarna l'essenza del pianeta Terra, perché è
l'elemento che dà sapore al cibo e quindi alla vita»), sia soprattutto
ammirando con occhi innamorati la danza di Samie, con la quale ha stabilito
un simpatico patto, consistente in uno scambio di doti reciproche: «Lui
cucinerà per lei, rivelandole i segreti dell'arte culinaria, mentre lei
ballerà per lui», accompagnata
dai volteggi del suo ombrellino rosso, che improvvisamente finirà per
sorvolare il cielo, immergendosi in quell'universo di fiaba che Fanis
immagina, sedotto dagli ancheggianti mosse della danzatrice che si esibisce
solo per lui.
Intanto
il resto della famiglia, costituita in gran parte da zie cuoche che si
sfidano furbescamente ai fornelli, si avvia a subire l'esodo forzato verso
la Grecia, che il bambino di sette anni non sa nemmeno ancora collocare su
una cartina («All'inizio pensavo che la Grecia fosse in America...»),
a differenza dei pianeti e satelliti, sistemati su una mappa fatta di
polverine colorate, sulle quali Fanis saprà ancora soffiare, una volta
diventato adulto e ritornato a Istanbul per accompagnare il corteo funebre
del nonno, per sprigionare in aria quella pioggia di fragranti profumi che
hanno alimentato il suo cuore, insieme alla vista dell'ombrellino
danzante.
Si avvicina il giorno della partenza, annunciato dal solito squillo di un
campanello, seguito dalla comparsa di strane persone in uniforme, i
funzionari dell'ufficio immigrazione, le cui divise non smetteranno di
spaventare per tutta la vita il protagonista, confortato solo in parte dalla
promessa di future visite del nonno (cui spetterà il primato di non
abbandonare mai Istanbul) e dal regalo di Samie, una cucina giocattolo,
dotata di tutti gli accessori necessari per cucinare sul serio, pur facendo
finta di farlo per gioco.
«I
Turchi ci cacciano in quanto Greci, mentre i Greci ci accolgono come
Turchi», commenta la voce fuori campo, mentre scorrono altre immagini in
digitale che vengono a chiudere la carrellata precedente, inquadrando altri
tetti, lenzuola stese, per scivolare in un interno, stavolta di una casa
ateniese, dove i piatti cucinati finiscono per rivelare più l'assenza di
chi prima era vicino, che la reale consistenza dei loro ingredienti.
Nella sua nuova realtà il ragazzo avrà modo di sperimentare su di sé il
triste assunto contenuto nella frase riferita dalla sua voce fuori campo:
«Quando si lascia un posto per andare in un altro, si dovrebbe parlare di
quello in cui si va e non di quello che si lascia», però la massiccia
cura di nazionalismo e patriottismo che gli adulti (educatori e religiosi
compresi) gli propineranno per distoglierlo dalla sua unica occupazione:
dedicarsi alla cucina per offrire piatti alle compagne di scuola, non sortirà
l'effetto desiderato, ma l'esatto contrario, spingendo Fanis a cercare
di fuggire, con la cucina giocattolo a tracolla, nonostante non sia
posseduto dal diavolo, per tentare di ritornare a Istanbul. La sua fuga del
21 aprile 1967 sarà interrotta dall'ingresso dei carri armati, durante il
golpe militare dei colonnelli, che bloccano il treno in procinto di
raggiungere la Turchia: il suo proposito di raggiungere il nonno e Samie
andrà così in fumo, ma non metterà fine a cosa bolle in realtà nella
pentola mentale del ragazzo, che accetterà di diventare boy scout, con il
solo scopo di poter frequentare le ospiti di un bordello, a cui offrire le
prelibatezze della sua tavola, in cambio di seni da suggere con la stessa
voluttà di quanto si allattava.
Per
digerire il pranzo di questa fiabesca "Πολίτικη Κουζίνα" occorre però
fare i conti con il presente, che riporta Fanis a ripercorrere gli eventi
della sua infanzia, ritrovata grazie al persistere degli aromi rammemoranti
gli insegnamenti del nonno, senza dimenticare di guardarsi allo specchio. Lo
zio Aimilios, un vecchio lupo di mare, abituato a fare la spola tra mondi e
culture diverse (pronto a regalare alla famiglia anche i nuovi attrezzi del
mestiere, come una pentola a pressione o un frullatore, che non
rivoluzioneranno le tradizioni culinarie, dimostrandosi inadeguati alle
ricette proposte), gli farà capire che esistono due tipi di viaggiatori:
coloro che si muovono guardando le carte e quelli che si spostano guardando
soltanto lo specchio.
La
superficie su cui si riflette Fanis, tornato dopo 35 anni nella bottega
ormai orfana del nonno, se da un lato riporta a galla la sua amata Samie,
andata in sposa all'ufficiale medico turco, figlio del diplomatico
ipernutrito di orgoglio etnico, dall'altro non gli consente di riprendere
la vita interrotta con la partenza: le spezie restano, i polpastrelli
continuano a tastarle con lo stesso gesto, ribadito dalle dita del nonno
prima di spirare, ma le persone se ne vanno... E la loro presenza può
restare solo intrappolata nel tempo impiegato dalle polveri a espandersi
nell'aria, al ritmo di una danza destinata a concludere anche la corsa
dell'ombrellino rosso.
Dentro allo specchio la maturità disincantata consente di mescolare il
latte e lo zucchero per dar vita a un dolce finale: una torta di compleanno
per la festa della figlia di Samie e dell'ufficiale. Così le portate si
concludono, il pranzo finisce, l'ottica del cannocchiale si restringe a
mostrare un'ultima danza di polveri che puliscono lo schermo,
consegnandolo allo scorrere dei titoli di coda.