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Un tocco di zenzero
Anno: 2003
Regista: Tassos Boulmetis;
Autore Recensione: paola tarino
Provenienza: Grecia;
Data inserimento nel database: 08-04-2005


Un tocco di zenzero - Recensione - NearDark - Critica e recensioni

 

regia e sceneggiatura
Tassos Boulmetis

fotografia
Takis Zervoulakos
montaggio
Yorgos Mavropsaridis
musica
Evanthia Reboutsika
effetti
Giannis Georgariou, Philippos Marmoutas.
scenografia:
Olga Leontiadou

provenienza: Grecia
anno: 2003
durata: 108'
distribuzione: Lady film

Greci e Turchi, una faccia, due cucine

Πολίτικη Κουζίνα

Un tocco di zenzero



interpreti:
Georges Corraface, Tassos Bandis, Basak Köklükaya, Ieroklis Michaelidis, Renia Louizidou, Stelios Mainas, Tamer Karadagli, Markos Osse

 

 





Basta un tocco di zenzero e la "politiki kouzina" va giù...

Film di Tassos Boulmetis

In un universo trapuntato di stelle e pianeti (come lo si può ammirare distesi su una chaise longue all'interno di un planetario, pur essendo non troppo comodamente seduti su una poltrona di una sala cinematografica), ecco volteggiare uno strano oggetto in movimento, non è un asteroide o un'astronave aliena, bensì un comune ombrello rosso, che diventa riconoscibile man mano si avvicina al campo scrutato dall'ottica di un cannocchiale astronomico, attraverso le cui lenti si è invitati a fruire lo sviluppo del film.
Grazie alla vista impressionata in quel cannocchiale prende vita una città degna dei racconti delle Mille e una notte, capace di ospitare al proprio interno una storia di tradizioni culinarie tramandate da una generazione all'altra, il cui sapore è possibile gustare soltanto immergendosi in quel mondo di fiaba, che ammanta la narrazione di un sostrato immaginario, senza per questo tralasciare retrogusti dolci-amari, riconducibili a eventi attestati dalla storia. In dissolvenza si passa dall'immagine del cosmo filmico a quello stampato su un foglio, estratto da una stampante, e immediatamente si coglie la differenza tra i due universi: la copia statica e riproducibile non permette agli spettatori di notare l'ombrello volteggiante presente invece nella precedente visione, perché l'invisibile, che dà sostanza ai sogni e anche fragranza ai cibi, è ovviamente nascosto e lo si può intercettare solo con la forza del desiderio o una progressiva educazione dei cinque sensi. «Nel cielo ci sono cose che si possono vedere e anche non vedere»: aveva insegnato il nonno Vassilis al giovane nipote, Fanis Iakovidis, che, una volta diventato adulto, si ricorderà di questa notazione e, pur scrutando la volta celeste con gli occhi di un astrofisico, non dimenticherà mai di indossare occhiali speciali: un'appendice ottica di collegamento tra la realtà attuale e le reminiscenze sublimate della sua infanzia. Quest'ultima fu per lui un'età dell'oro: profumata di spezie, annusate nella drogheria del nonno tra grappoli di aglio e peperoncino, con le dita immerse in colorate polveri aromatiche e lo sguardo incantato a seguire la magia di una danza inscenata per lui da Samie, la bambina che ha carpito il suo cuore. L'ombrello rosso non impressionato dalla stampa ha però il potere di aprire lo schermo su uno scenario altalenante tra ricordi reali e immagini remote ammantate di poesia, rituali e mitiche al contempo, allestendo un banchetto da assaporare un poco alla volta: dall'antipasto (di carattere fiabesco), al piatto principale (di matrice autobiografica), per finire con il dessert (di stampo storico-politico); un pranzo filmico originale, a tratti un po' sentimentale e nostalgico, capace di amalgamare al proprio interno ricette elleniche con sapori orientali.

Fanis e Samie

Sinossi
Fine anni cinquanta: Fanis cresce nella bottega del nonno Vassilis che ha un modesto commercio di spezie presso il mercato di Costantinopoli. Il piccolo coltiva due passioni: la gastronomia, ovvero l'amore per i piatti greci della famiglia paterna, conditi con le spezie orientali a cui lo inizia invece il nonno materno di origine turca, e l'astronomia, ossia l'amore per le stelle e i pianeti. Crescendo imparerà a coniugare questi due interessi, perché «la parola gastronomia contiene in sé anche la parola astronomia», come gli aveva insegnato l'anziano parente.

Come apprendere l'arte culinaria

Fanis sarà costretto, insieme ai genitori, a lasciare la sua città, quando nel 1964, a causa del conflitto fra Turchia e Grecia per gli eventi avvenuti a Cipro, i Greci di Istanbul (o Costantinopoli?) verranno deportati in patria.
Il giovane lascerà in Turchia il nonno, le sue spezie, l'amica Samie, di cui resterà innamorato per tutta la vita, ma conserverà nel suo cuore l'amore per la Costantinopoli (o Istanbul?) conosciuta durante l'infanzia e abbandonata a malincuore, i cui sapori multietnici si rinnoveranno ogniqualvolta gli verrà consentito di preparare un piatto o di annusare una cartolina, impregnata di profumati aromi, per lui preziosi.

 Nonno Vassilis nella sua bottega

L'inquadratura di un seno materno dai capezzoli turgidi, spolverati da un impercettibile velo di zucchero, per essere meglio succhiati dalla bocca di un bimbo che sta imparando il piacere di nutrirsi, risulta prolettica dell'intero film (e troverà modo di essere replicata anche nello sviluppo successivo, pur riferendosi ad altre naturali tappe di crescita di un individuo): l'atto di cibarsi come metafora dell'intera esistenza, che inizia con l'allattamento, per poi svezzarsi, abituando le papille ai gusti agrodolci che la vita riserva nel corso del tempo. Se poi si ha la fortuna di essere educati da chi ci precede a riconoscere gli ingredienti che danno sapore agli eventi che capitano, e soprattutto in che modo amalgamarli tra loro perché si compenetrino, senza perdere la loro fragranza originaria, allora si sarà in grado di preparare di volta in volta piatti che aiutano a vivere meglio, mescolando il rispetto delle proprie tradizioni con quelle altrui, insieme all'amore per i segreti che nascondono. Così facendo si potrà migliorare anche il proprio gusto, educandosi a tollerare i sapori e le spezie di tutti gli universi. Si direbbe sia questa la ricetta principale del film Un tocco di zenzero (Grecia-Turchia, 2003) del regista Tassos Boulmetis, che tra una sequenza e l'altra viene svelata anche dalla voce narrante, che si scoprirà appartenere a Fanis, il protagonista della storia, che nel doppiaggio italiano ha la fortuna di essere interpretato dall'avvolgente voce di Roberto Pedicini, meglio conosciuto come Jack Folla.
In un'intervista il regista Boulmetis spiega che il titolo originale del film Politiki Kouzina ha un doppio significato in greco ed è intraducibile. «Il gioco di parole è fra la cucina della polis, della città (Istanbul), la cucina che viene da Costantinopoli, e la cucina politica. Da una parte volevo parlare delle tradizioni culinarie della minoranza dei greci in Turchia e dall'altra mostrare, attraverso il rito del cucinare, come la politica possa interferire nella vita privata».

 Sulla via del ritorno

L'astrofisico Fanis sta concludendo il suo corso universitario, congedandosi dagli studenti poiché in procinto di partire forse per una vacanza, quando viene raggiunto dalla notizia che il nonno starebbe per arrivare ad Atene: sono 35 anni che i due non si incontrano. Vassilis aveva promesso ai familiari di andarli a trovare in Grecia, ma, tra una scusa e l'altra, aveva sempre finito per venir meno alla parola data, sostituendo la sua presenza con una radiografia, sempre la stessa riferita a una sua vecchia ferita di guerra, spedita alcune volte ad amici e parenti, curiosamente in coincidenza con gli eventi che sconvolsero la storia della nazione greca: il contenzioso greco-turco su Cipro nel 1964 o il golpe dei colonnelli nel 1967. Non a caso il suo primo dolore alla spalla, attribuito al riacutizzarsi proprio di quella ferita, si manifestò in occasione dell'inizio della questione cipriota.
Un quartetto di vecchi amici del nonno, sincronizzati tra loro, quasi fossero magnetizzati come l'ago di una bussola (quando devono dare un'informazione o decidere dove dirigersi, guardano a destra, poi a sinistra, poi ancora a destra, infine si risolvono, fiutando l'aria come fosse anch'essa fatta di spezie da annusare: un tic che verrà ereditato anche dal giovane astrofisico, quando sente il bisogno di trovare un orientamento, di riequilibrarsi), si precipitano a casa del nipote che lo vuole omaggiare con un pranzo degno dell'evento, ma anche stavolta l'anziano Vassilis non si farà trovare all'aeroporto, dove si era recato comunque senza passaporto, poiché ricoverato d'urgenza presso un ospedale di Istanbul. Fanis non ha il piacere di offrire al nonno i piatti di quella che in realtà gli era sembrata più come "un'ultima cena", sospesa dallo squillo del telefono, annunciante la triste notizia, che viene a interrompere anche il brindisi a base di ouzo da parte degli amici.

Come mescolare gli aromi

La prolessi, stavolta sonora e come al solito ribadita dalla voce off del protagonista che funge da cucitura narrativa tra il presente e il passato («Ogni evento della mia vita è stato scandito dal suono del campanello di una porta o dallo squillo di un telefono»), crea il pretesto per introdurre lo scenario magico di una Istanbul, immersa nei primi anni sessanta, perlustrata ad altezza tetti lungo la riva orientale del Bosforo. Le riprese in digitale, montate in postproduzione, prendono le mosse da una carrellata all'indietro che, a partire da un minareto, scopre man mano la cupola di una moschea e una teoria di tegole, trasformandosi poi in una panoramica di interni, volti a mostrare un bazar, occupato da animali e persone in movimento, per finire con il coincidere con lo sguardo del bambino, impegnato a osservare dall'alto verso il basso, appollaiato su una scala di legno, la bottega del nonno, impregnata di luci soffuse dalle calde tonalità ocra-pastello, come fossero anch'esse impolverate dalle spezie che occupano lo spazio circostante. In questo regno opera Vassilis, dispensando consigli, culinari e non, sia alla casalinga desiderosa di conquistare il palato del suo amato («Nelle polpette è meglio aggiungere lo zenzero: il cumino le aggredisce, mentre lo zenzero è dolce», lo stesso ingrediente "nascosto" nelle polpette preparate da Fanis a Samie prima che arrivi il marito a comprendere che ha interrotto un rito di seduzione), che al diplomatico turco, dando prova di maggior diplomazia, insegnando come fondere i gusti per creare un'amalgama unica, anziché privilegiare la netta separazione dei sapori (o delle etnie).
Se le sue alchimie hanno il potere di affascinare il nipote e anche di incantare il figlio del diplomatico, che vorrebbe studiare le virtù medicinali e terapeutiche delle spezie per prepararsi a una brillante carriera da ufficiale medico, non altrettanto avviene per il padre di quest'ultimo, per nulla irretito dai saggi discorsi del droghiere, a cui risponde con il repentino gesto di mostrare come, con una sola stretta di mano in un pugno deciso a stringere con violenza, una noce forte riesca a schiacciare quella debole: la minoranza non deve essere rispettata, ovvero, fuor di metafora, i pochi greci residenti a Istanbul si preparino al più presto a fare le valigie!

Le polpette con o senza zenzero?

Questa sarà infatti la sorte che spetta al padre di Fanis, non tanto perché non apprezza che i piatti greci vengano insaporiti con spezie turche ("Le spezie non servono più da quando abbiamo il frigorifero"), ma perché sarà costretto dall'Ufficio Immigrazione, che non rinnova il permesso di residenza né a lui né al resto della comunità greca abitante a Costantinopoli, a lasciare Istanbul per un ritorno forzato in madrepatria. Questa drastica risoluzione, assunta dal governo turco, facendo propria solo la legge del taglione, intesa come unica risposta ai fatti di Cipro: «I nostri fratelli turchi a Cipro soffrono di giorno in giorno...», finisce solo per aggiungere alla sofferenza degli uni anche quella degli altri, privando entrambe le comunità del diritto di scegliere in quale fetta del mondo abitare. Per fortuna il ragazzo ha ancora il tempo di scoprire la magia dell'universo, sia attraverso le lezioni che gli impartisce il nonno, adoperando sempre le spezie in maniera allegorica («La cannella è dolce e amara come le donne, di cui Venere è la rappresentante per eccellenza, mentre il sale incarna l'essenza del pianeta Terra, perché è l'elemento che dà sapore al cibo e quindi alla vita»), sia soprattutto ammirando con occhi innamorati la danza di Samie, con la quale ha stabilito un simpatico patto, consistente in uno scambio di doti reciproche: «Lui cucinerà per lei, rivelandole i segreti dell'arte culinaria, mentre lei ballerà per lui»,  accompagnata dai volteggi del suo ombrellino rosso, che improvvisamente finirà per sorvolare il cielo, immergendosi in quell'universo di fiaba che Fanis immagina, sedotto dagli ancheggianti mosse della danzatrice che si esibisce solo per lui.

La magica danza di Samie

Intanto il resto della famiglia, costituita in gran parte da zie cuoche che si sfidano furbescamente ai fornelli, si avvia a subire l'esodo forzato verso la Grecia, che il bambino di sette anni non sa nemmeno ancora collocare su una cartina («All'inizio pensavo che la Grecia fosse in America...»), a differenza dei pianeti e satelliti, sistemati su una mappa fatta di polverine colorate, sulle quali Fanis saprà ancora soffiare, una volta diventato adulto e ritornato a Istanbul per accompagnare il corteo funebre del nonno, per sprigionare in aria quella pioggia di fragranti profumi che hanno alimentato il suo cuore, insieme alla vista dell'ombrellino danzante.
Si avvicina il giorno della partenza, annunciato dal solito squillo di un campanello, seguito dalla comparsa di strane persone in uniforme, i funzionari dell'ufficio immigrazione, le cui divise non smetteranno di spaventare per tutta la vita il protagonista, confortato solo in parte dalla promessa di future visite del nonno (cui spetterà il primato di non abbandonare mai Istanbul) e dal regalo di Samie, una cucina giocattolo, dotata di tutti gli accessori necessari per cucinare sul serio, pur facendo finta di farlo per gioco.

Il saluto e la cucina giocattolo

«I Turchi ci cacciano in quanto Greci, mentre i Greci ci accolgono come Turchi», commenta la voce fuori campo, mentre scorrono altre immagini in digitale che vengono a chiudere la carrellata precedente, inquadrando altri tetti, lenzuola stese, per scivolare in un interno, stavolta di una casa ateniese, dove i piatti cucinati finiscono per rivelare più l'assenza di chi prima era vicino, che la reale consistenza dei loro ingredienti.
Nella sua nuova realtà il ragazzo avrà modo di sperimentare su di sé il triste assunto contenuto nella frase riferita dalla sua voce fuori campo: «Quando si lascia un posto per andare in un altro, si dovrebbe parlare di quello in cui si va e non di quello che si lascia», però la massiccia cura di nazionalismo e patriottismo che gli adulti (educatori e religiosi compresi) gli propineranno per distoglierlo dalla sua unica occupazione: dedicarsi alla cucina per offrire piatti alle compagne di scuola, non sortirà l'effetto desiderato, ma l'esatto contrario, spingendo Fanis a cercare di fuggire, con la cucina giocattolo a tracolla, nonostante non sia posseduto dal diavolo, per tentare di ritornare a Istanbul. La sua fuga del 21 aprile 1967 sarà interrotta dall'ingresso dei carri armati, durante il golpe militare dei colonnelli, che bloccano il treno in procinto di raggiungere la Turchia: il suo proposito di raggiungere il nonno e Samie andrà così in fumo, ma non metterà fine a cosa bolle in realtà nella pentola mentale del ragazzo, che accetterà di diventare boy scout, con il solo scopo di poter frequentare le ospiti di un bordello, a cui offrire le prelibatezze della sua tavola, in cambio di seni da suggere con la stessa voluttà di quanto si allattava.

Cucina trasgressiva

Per digerire il pranzo di questa fiabesca "Πολίτικη Κουζίνα" occorre però fare i conti con il presente, che riporta Fanis a ripercorrere gli eventi della sua infanzia, ritrovata grazie al persistere degli aromi rammemoranti gli insegnamenti del nonno, senza dimenticare di guardarsi allo specchio. Lo zio Aimilios, un vecchio lupo di mare, abituato a fare la spola tra mondi e culture diverse (pronto a regalare alla famiglia anche i nuovi attrezzi del mestiere, come una pentola a pressione o un frullatore, che non rivoluzioneranno le tradizioni culinarie, dimostrandosi inadeguati alle ricette proposte), gli farà capire che esistono due tipi di viaggiatori: coloro che si muovono guardando le carte e quelli che si spostano guardando soltanto lo specchio.

In contemplazione di un elettrodomestico moderno

La superficie su cui si riflette Fanis, tornato dopo 35 anni nella bottega ormai orfana del nonno, se da un lato riporta a galla la sua amata Samie, andata in sposa all'ufficiale medico turco, figlio del diplomatico ipernutrito di orgoglio etnico, dall'altro non gli consente di riprendere la vita interrotta con la partenza: le spezie restano, i polpastrelli continuano a tastarle con lo stesso gesto, ribadito dalle dita del nonno prima di spirare, ma le persone se ne vanno... E la loro presenza può restare solo intrappolata nel tempo impiegato dalle polveri a espandersi nell'aria, al ritmo di una danza destinata a concludere anche la corsa dell'ombrellino rosso.
Dentro allo specchio la maturità disincantata consente di mescolare il latte e lo zucchero per dar vita a un dolce finale: una torta di compleanno per la festa della figlia di Samie e dell'ufficiale. Così le portate si concludono, il pranzo finisce, l'ottica del cannocchiale si restringe a mostrare un'ultima danza di polveri che puliscono lo schermo, consegnandolo allo scorrere dei titoli di coda.

Il ritorno a Istanbul

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