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In the mood for love
Anno: 2000
Regista: Wong Kar Wai;
Autore Recensione: Mario Bucci
Provenienza: Homg Kong; Francia;
Data inserimento nel database: 25-04-2005


In the mood

In the mood for love.  Wong Kar Wai. 2000. HONG KONG-FRANCIA.

Attori: Maggie Cheung, Tony Leung, Rebecca Pan, Lui Chun, Siu Ping-Lam, Chin Chi-Ang

Durata: 98’

 

 

Hong Kong. 1962. Due coppie sposate prendono possesso di due diverse stanze in due diversi appartamenti allo stesso piano di un palazzo. Per motivi di lavoro e professione, un coniuge per coppia viene spesso lasciato da solo e così l’impiegata Su Li-zhen ed il giornalista Cho Mo-wan possono stringere una tenere ed illusoria storia d’amore. I due infatti, abbandonati nella loro solitudine, si ritrovano a parlare della loro realtà affettiva, delle loro vite sentimentali, convinti soprattutto che i loro rispettivi partner li tradiscano in maniera abitudinaria. Più per necessità, ma non senza elettiva affinità, i due scelgono di amarsi, senza concedersi l’un l’altra. A distanza di anni, una volta separati, rincorrono uno il ricordo dell’altra, senza successo. Toccherà a Cho Mo-wan custodire il loro segreto, fra le pareti di un tempio buddista.

Triste, elegante, raffinata e sensuale storia di un amore che cresce e si consolida fra una coppia che sa di non potersi unire, ma che si cerca a sente la necessità della presenza dell’altro. Acclamato da critica e pubblico, In the mood for love (che alla lettera significherebbe Nell’umore dell’amore) segna uno dei momenti più alti del regista di Hong Kong nonché il punto di svolta della sua narratività e rappresentazione scenica. A differenza dei suoi precedenti lavori infatti, in questo film, ancora carico di forti tinte melodrammatiche, ma non solo, il regista sceglie di non stare addosso ai personaggi anzi, nasconde la m.d.p. con una coscienza narrativa elevatissima e che ben riproduce il senso di riservatezza, rispetto e distanza che i due personaggi creano attorno a loro stessi. Sguardi nascosti quindi, ma anche parole non pronunciate, lunghi silenzi di amori che svaniscono (i partner che non sono mai in scena) e che nascono nuovamente sospinti da un innaturale umore che nasce dall’amore. M.d.p. distante quindi, ma anche spesso abbassata al livello della vita di Maggie Cheung, per rendere sensuale ogni fotogramma, ogni colpo d’anca di una donna che con la sua presenza riempie lo schermo, gli occhi dello spettatore ed il cuore di un Tony Leung superlativo (premiato al Festival di Cannes), amante rigido del rispetto che si concede in lunghi abbracci e silenzi d’ascolto. Forse i loro partners non li tradiscono nemmeno, forse i protagonisti giustificano la loro attrazione necessaria ipotizzando solamente un tradimento subito, o forse sì, il tradimento c’è, ma ciò che rimane è che la solitudine di un’esistenza la si cura solo con l’amore vero. In the mood for love è quindi un più che riuscito film, estetico ma che non affronta l’amore in maniera intangibile anzi, permette allo spettatore di parteciparvi nella sua assenza e nella sua tangibile, seppur eterea, nuova presenza. L’uso del rallenti quindi diventa necessario per far sì che un aroma di innocuo erotismo invada la sala e avvolga il pubblico più rapito. Ed anche la scelta del finale, di quel sussurro fra le crepe di un monastero, simboleggia quasi la necessità di elevare l’amore mi consumato mai tanto vissuto al livello sacro del non rappresentabile, dell’indicibile, di quello che dell’amore forse non si può conoscere se non provandolo. Se avessi un biglietto in più partiresti con me? Se avessi un biglietto in più mi chiederesti di partire con te? È l’amore necessario, detto con un’eleganza invidiabile, che lascia l’amaro in bocca di una relazione che andrebbe consumata e che forse proprio perché questo non avviene, rimarrà viva per l’eternità (ancora una volta il finale nel tempio). L’amore vero si sfiora, forse possiede, ma rimane amore finché sfugge. Non si può rimanere impassibili di fronte a sì tanta bellezza, e questa è proprio In the mood for love. Tale è stata, infine, la forza di questo film che ha convinto il regista a riprendere le stesse ambientazioni, attori e tema, per realizzare il seguente 2046 (2004), che è soprattutto il numero della stanza rossa in cui Cho si nasconde e dove Su corre a cercarlo.

 

 

Mario Bucci

[email protected]