FUGA DAL LINGUAGGIO

I termini si ponevano dapprima come l'individuazione di due possibili atteggiamenti di fronte all'inganno metafisico dell'esistenza rappresentata: "al contrario dei casi come Truman Show e EDTv, in cui traspare l'intento consolatorio che ci fa credere possibile un'uscita dal sistema delle immagini; nel film di Lindsay questa scappatoia ci è preclusa e ciò che si manifesta maggiormente è l'impossibilità di sottrarsi ai meccanismi di captatio imaginis". In particolare Pleasantville ha visto all'interno della redazione molte sfumature diverse nella lettura dell'ingenuità della fuga dal tubo catodico: da un lato "la sorellina hipper rimane nei '50s ormai a colori e il protagonista torna da dove è venuto sua sponte", dunque secondo questa lettura si coglie in questo film una più smaccata adesione all'illusione di potersi difendere dalla virtualizzazione della realtà. O piuttosto come distinguevano altri: "Truman Show vorrebbe essere inquietante, con una delle poche invenzioni visuali che contiene e cioè la porta oscura incastonata nel cielo posticcio; quell'uscita paradossale ci vuole forse far dubitare dei vantaggi dell'uscita stessa. Pleasantville, invece, ribalta il discorso e dice che, comunque, quella porta e' da varcare, l'affrancamento dagli automatismi che funzionano anche senza "attaccapanni" (quello inesistente a cui il padre appoggia il cappello) e' comunque auspicabile, sia che avvenga tramite i colori (del jazz, per esempio, o dell'action painting e dei murales), sia che si attraversi quella porta...". O spostando maggiormente l'attenzione sull'aspetto linguistico e allora privilegiando lo studio di EDTv: "Le uniche zone franche che il personaggio si ritaglia al di fuori dello show sono mostrate in oggettiva reale. (non in oggettiva densa-immagine di un'immagine che rimbalza sugli schermi domestici). Insomma è il cinema a costruire il testo del film, è il cinema la telecamera che non vediamo".