FUORI CAMPO E IMPOSTURA

Per tentare di uscire almeno noi dal gioco di simulacri, si tentò di recuperare la contrapposizione iniziale: "rispetto a Pleasantville Lindsay ha il pregio di non inventarsi una trama tutta di derivazione televisiva per individuare dove si annidino residui barlumi di 'verità'". Ovviamente nel gioco di specchi ci ritrovammo subito nuovamente coinvolti dalla proteiforme materia del contendere: "e forse in questa operazione è persino più subdolamente falso di Truman, per la solita consolidata certezza che nel momento stesso in cui l'immagine si forma la realtà in quel modo formalizzata si trasfigura e non è più tale". Lontano da tutta questa simulacralità non poteva stare il duplice concetto di osceno come fuori campo che insiste sui margini del fotogramma, invadendo per ciò stesso l'inquadratura, o come privacy morbosamente violata infarcendola di birignao in Guy oppure spudoratamente perseguito in Edtv, o pericolosamente metafisico come in Truman. A questo punto riapparve la porta: un'altra interpretazione la leggeva come soluzione allusiva ad una possibilità di uscita in gloria dalla "mondanità"; possibilità negata dal fatto stesso che tutto ciò che viene formalizzato ha derivazione culturale e principalmente origine nella riproduzione televisiva della realtà e quindi la finale possibilità di trovare scappatoie alla condanna a "vita mediatica" è un'ulteriore falsa spettacolarizzazione di un mondo già indebolito dai successivi annidamenti della rappresentazione. Insomma in questo approccio si affaccerebbe il timore che questi fenomeni preludano a una riedizione di quella falsificazione totalizzante, evidente nella riproposta del meccanismo di ricerca illusoria di una possibile realtà attraverso produzioni che sono invece puramente linguistiche.

Quella immagine della porta si allargò a tutto schermo dissolvendo completamente il testo in flusso in una lettura che la individuava come estrema reazione alla saturazione, in contrapposizione pre-moderna con il testo moderno di Lindsay, che fin dall'inizio elimina orpelli o usi sintattici particolarmente evidenti a parte il presupposto fondativo del film; mentre sul versante post-moderno Matrix sembra giungere ad una saturazione del significato per impossibilità di individuare nuovi stereotipi da vampirizzare; contemporaneamente le soluzioni significanti, non essendo sorprendenti nei dettagli quanto piuttosto nell'insieme di decor e interventi in postproduzione, si sgonfiano, perdendo di interesse. Al contrario di ciò che avviene in Lola Rennt.