Lavori in corso

Lavori in corso
proposte, suggestioni, cantieri
<<< torna al sommario

2001

Comincia dopo 22’. Tanti ce ne vogliono di prologo. Poi c’è il valzer. Poi qualcuno parla. Perché? Un elemento che colpì la critica e poi varie ondate di spetttatori fu proprio l’effetto di straniamento dell’aver abbinato l’astronave con il Danubio blu. Io la vedo diversamente. La melodia di Strauss essendo una di quelle universalmente conosciute, usate e abusate (come la Quinta di Beethoven, peraltro rielaborata con accenti stupefacenti nel silenzio di Makhmalbaf; o come l’Adagetto della Quinta di Mahler, che dopo Morte a Venezia - e fin lì ci siamo - compare ai tg in occasione dei funerali di stato), permette allo spettatore di prevedere i tempi della sequzenza che gli si sta dipanando sotto gli occhi. Tempi niente affatto scontati, musica a parte. Perché siamo partiti dall’"alba dell’uomo", non abbiamo ancora udito dire "ba", tutto sembra eterno e compattato allo stesso tempo: millenni di anni fa e l’eternità del cosmo. Per fortuna le note viennesi ci dicono che quel viaggio durerà ancora un tot di battute (poche o tante? Tantissime, solo Sergio Leone è stato più insistente nei tempi).

2001 - Gravita' zero

E in effetti tutto 2001 è una sfida alla nostra percezione del tempo e dei tempi. Le prime parole vengono dopo 22’. Bene, ma durante tutto un film, non breve, in cui sembra che si debbano scontrare umanità e sovraumanità, mondi lontani, mondo e oltremondo, pianeti e stazioni orbitanti, uomini e macchine, l’unico vero scontro drammatico, quello con Hal protagonista ribelle, è in realtà ridotto a pochi minuti, più importante essendo la strategia di Bowman/Dullea per cavarsela senza di lui. Anche agli inizi si adombra un possibile conflitto, ma il dottore dice solo di "non essere autorizzato a parlare" su alcuni precisi argomenti. E qui finisce, appena accennato, un problema di interessi diversi.

Come sempre nel cinema di Kubrick (e sarebbe sbagliatissimo cercare di leggere 2001 o qualunque altro suo film isolatamente) affiorano istanze morali apparenti, domande banali che, se fossero il reale centro dell’opera, sarebbero di fatto moralismi. Anche qui: il carattere ciclico dell’umanità; l’eterno ritorno, la regressione e il feto; la ribellione delle macchine; il peccato di ubris, l’arroganza nel voler conoscere cose che devono restare nascoste; l’incapacità di capire il senso del proprio stare al mondo — ma quale mondo?: su questo tema, con un certo acume, si sviluppò la risposta di Solaris: e Tarkovskij, come suo solito, da buon russo, spese molto bene la carta della nostalgia: le parti più belle di quel bellissimo film sono quelle "terrestri". Tutto vero, tutto giusto, però siamo nel territorio dell’ovvio e dello scontato, come lo siamo se parliamo solo del destino di un parvenu in Barry Lyndon o del solo horror di Shining o ci limitiamo alla denuncia della guerra per Full metal Jacket e non occorre che vi dica quanto sia facile sbrodolare (e infatti in tanti hanno sbrodolato, non solo saliva) su Eyes Wide shut.. In realtà lo scavo di Kubrick è più sottile e si sposa con perfetta aderenza alla messa in scena, alla costruzione del film. È un eterno conflitto tra ragione e non ragione a interessarlo; tra l’accadimento dei fatti e la capacità di dominarli; tra l’enormità del mondo e la tenace, pervicace volontà di tenerlo sotto controllo. In qzuesto Kubrick è stato un grande umanista. Questa era la sua pratica del cinema, come ben dice Ghezzi in Paura e desiderio, a proposito di Barry Lyndon (che continuo a ritenere il più bello, Sandro Bernardi docet).

Anche dove sembra più attrezzato (dal punto di vista del sapere e della tecnica qui, dal punto di vista delle motivazioni etiche - ! - nel caso dei marines e da quello del saper stare in società per il medico Tom Cruise) l’uomo si scopre piccolo piccolo. E questa, benché sia una questone vecchia come il mondo, a differenza di tante altre non è moralismo. È questione di sopravvivenza. Senza questa consapevolezza, che ben pochi hanno, si sfora. L’inquadramento per linee geometriche, la lettura razionale del mondo, va di pari passo con la sua esplosione/implosione (e qui Bertetto docet). Kubrick è moralista nel senso gelido della lucidità delo sguardo. Con il massimo della razionalità ha saputo smascherare l’irrazionale che c’è nel mondo. L’intelligenza, lo sguardo critico stanno dietro ogni scelta di inquadratura, fino all’insopportabile. Non a caso, varcata la soglia, il "ritorno" non è ai primordi, ma a un’abientazione settecentesca, come molti hanno notato. La condanna non è regredire e tornare scimmione, ma forse è proprio restare prigionieri di una razionalità pur sempre insufficiente e inadeguata. Per questo il dramma non scoppia mai, e anche nei momenti in cui ci si aspetterebbe un crescere della tensione (la ribellione di Hal), i piani ravvicinati e l’utilizzo del dettaglio smrozano l’effetto.

2001 - Nella stanza con il monolite

2001 ha chiuso l’epoca della fantascienza "entusiasta", del trucco visibile e accettato in un patto di adesione al gioco; allo stesso tempo — per questo è un film davvero diabolico — ha anticipato e svuotato di senso molta di quella che sarebbe venuta dopo, gli effetti speciali e poi il virtuale. Quindici anni prima di Diva ha tirato fuori dal cilindro il neobarocco delle scenografie postmodern; cinque anni prima dellEsorcista (che ci avrebbe atterriti con la ragazzina che cammina "a ponte" all’indietro, come un grosso ragno, ci ha fatto vedere un viaggiatore dello spazio che sì, cammina sulle pareti, perpendicolare all’asse del pavimento, ma lo fa stanco di farlo, come una routine, un già visto, che al cinema non doveva più sorprendere. Se in questo gioco, dietro a ogni banalità moraleggiante, viene da chiedersi: chi siamo? la risposta è più sconfortante della domanda: siamo esseri, comunque vogliamo chiamarci, che non sono attrezzati per riconoscersi per quello che sono. C’è poco da scoprire, oltre la terra e la luna, oltre il tempo, oltre la quarta dimensione; c’è da imparare a gestire quel che possiamo.

Alberto Corsani