"Né tu né io abbiamo saputo accarezzarci, essere teneri, fonderci l'uno nell'altra. Tu nelle tue cose, il Rabbi, dio, la calzoleria; io nelle mie, il pane, la casa, gli escrementi, l'odio per la Creazione; separati. Non hai mai saputo che cos'ero, che cosa avevo dentro; hai visto una santa ruminante in mezzo a una casa che era una tomba, non un tempio; hai lasciato che mi annoiassi, non ti importavano i miei sogni, niente. Ci siamo comportati come primitivi, semplici, monocordi, abbiamo perso il sale della vita, il piacere della tenerezza. Io mi stavo inaridendo. La felicità che non avevo mi gonfiava il corpo. A volte guardavo gli altri uomini come se fossero frutti meravigliosi ma proibiti ... Colpevole, ipnotizzata, mi soffocavo in te, nel tuo vuoto, nella tua brutalità da analfabeta, accettando inconsciamente e senza esitare il sacrificio dei migliori anni della mia gioventù. Cercavo i tuoi occhi con i miei perché potessimo vivere un'altra cosa, un'unione fuori da questo mondo, ma no, sapevi solo possedermi con la furia e la prepotenza che ti ha insegnato Javeh. Tutto ciò che riuscivi a immaginare era di procurarmi un mostruoso orgasmo, e ti ci mettevi con furiosi colpi di reni buoni a spaccar sassi ma non a far innamorare una donna. Sei stato insensibile e rozzo. Io non me ne rendevo conto perché non avevo esperienza né possibilità di far paragoni. Immersa nella miseria, in quella miseria causata dal tuo delirio di voler essere un giusto, che speranza mi rimaneva?".
(Donde mejor canta un pájaro di Alejandro Jodorowski (Quando Teresa si arrabbiò con Dio, Feltrinelli, Milano, 1998, pp.117-118))