1. Processo farsa ?
1. Tutto sommato, il processo era una farsa. Speriamo (tanto non succede...) non capiti sotto gli occhi di qualche fascista nostalgico che così può ricamarci sopra sulla storia scritta da chi vince. Della verità fotteva assai poco a tutti quelli "professionalmente" coinvolti. Infatti, è perfettamente comprensibile che a un certo punto il boia annunci di voler scrivere "liberamente" su un libro quello che pensa. Lì dentro, si trovava, coscientemente, all'interno di un rito i cui passaggi erano scontati come la messa domenicale. Neanche il PM ci credeva tanto quando si arrabbiava.
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E' una delle cose che i due "registi" volevano emergesse: Sivan non a caso è esiliato proprio perché realizzatore di documentari contro il sionismo (in fondo anche Gitai è a mala pena tollerato). Il sunto dell'operazione mi sembra racchiuso nel fatto che gli autori si sono fatti un'idea del processo, per cui Eichmann secondo loro era sincero quando diceva di avere obbedito e diceva che si sarebbe suicidato se fosse stato incaricato di occuparsi delle camere direttamente ... e che considerava di aver lavorato bene. Però nonostante questo sono convinti entrambi paradossalmente che l'epilogo non fosse non solo irrevocabile, ma anche irrefutabile e forse è questo che ammanta di ambiguità il film, un'ambiguità secondo me spiegabile soltanto attraverso i filosofi: da Lyotard in particolare si desume che era l'ovvio modo mostruoso di restituire esistenza alle innumerevoli (e quell'aggettivo è quello che rende insanabile la questione, nel senso che non si possono nemmeno contare, figurarsi dare loro dignità di persone, un concetto questo riassunto nel titolo di Primo Levi: Se questo è un uomo) vittime. In fondo ciò che sta a cuore alla filosofa heideggeriana è proprio mostrare quanto qualsiasi "giustizia" sia un semplice atto di potere; nel momento in cui fanno il processo gli ebrei smettono i panni delle vittime e diventano carnefici; nel momento in cui J.F.Lyotard parla di torto e ragione che non si possono incontrare dice che non si sta agendo nello stesso piano in cui si trovavano i "dissidenti" boia e deportati, che non avevano nulla in comune e quindi nemmeno un principio etico su cui fondare una giustizia. E questo era quanto mi interessava riportare anche attraverso Günther Grass e soprattutto Annette Wieviorka Se il film risulta sgradevole a tratti è perché la materia, al di là dell'ovvio orrore dei campi, è spiacevole anche dal punto di vista dei magistrati che processano. Ma il vizio sta nel manico: i criminali sono funzionari intercambiabili che dicono di essere esecutori e sciorinano sciocchezze, nascondendosi dietro la burocrazia.
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2. Il lavoro dei registi/montatori mi è sembrato una vaccata.
Innanzitutto, non ha praticamente senso la selezione di 2 ore: mi sembra di aver letto che c'erano 6-8 ore di girato. Preferivo la maratona a questi spezzoni, che sembrano strizzati con il solo scopo di farli stare nelle due ore. Inoltre, gli interventi dei francesi sono assolutamente fuori luogo, soprattutto quando si dilettano con dissolvenze e sovrapposizioni in elettronico. Così facendo non aggiungono nulla a ciò' che si vede e si sente, ma servono solo a dire "ehi, ci siamo anche noi, visto che in qualche modo abbiamo speso i vostri - anche di Spielberg - soldi...?" In realtà', trovo molto più rivelatori alcuni dettagli che non alcuni effetti speciali del montaggio. E anche se questi dettagli sono Stati scelti dai montatori in mezzo a ore infinite di noia, questo costituisce un atto che non perdono loro, perché, visto il prodotto ed il contesto, di loro NON MI FIDO! Ho il sospetto che costruirei un percorso molto diverso dal loro. Lo so, in condizioni "normali" e in certi casi, questa potrebbe essere anche una condizione auspicabile, ma qui siamo di fronte a una situazione in cui l'informazione comunicabile era di un livello e di un valore molto alto. Non mi sembrava il caso di giocare a nascondino. Certo, in ambito ipertestuale, magari anche gli autori avrebbero agito diversamente. Processando, giustamente, la Storia, lo stato di Israele ha in questo caso dimenticato che anch'esso stava scrivendola. E anche chi ha montato il film ha creduto di poter fare il ritratto di un soggetto, quando e' evidente (immagino che lo fosse anche alla Harendt, pur non avendo letto il libro) che quello non era solo il processo DI Eichmann e non era solo il 1961. Per questo, insisto Il lavoro dei registi/montatori mi è sembrato una vaccata. La selezione dei materiali a me sembra arbitraria e in certi casi priva di un senso. I giochetti sul tempo che passa, le sovrimpressioni, oltre ad essere esteticamente insignificanti (e gia' questo basterebbe a condannarle), sono la prova definitiva della colpa e dell'inaffidabilità. In questo caso particolare, visto che non riesco a intravedere una cornice di riferimento che giustifichi la selezione. La mia impressione e' veramente che, per stringere nelle 2 ore, si siano tagliati o accorciati senza criterio parecchi segmenti.
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Le ore erano 300 e secondo me è la parte più difendibile del loro lavoro: scegliere di non mostrare le prove, ma il vaniloquio del funzionario significa dare corpo al racconto di Grass (ed è grande la scelta di montare il sonoro radiofonico - l'unico ancora utilizzabile - per sottolineare la distanza dei codici linguistici); l'assenza dei reperti filmici ci inchioda a quell'aula e le testimonianze sono davvero da storia orale, magari non le più significative, ma quelle che danno anche fastidio alla comunità religiosa (Arendt dice anche che nella ricostruzione dell’origine dell'antisemitismo, molti maneggi provengono dai rabbini stessi che sfruttano il nemico esterno per pretendere una compattezza religiosa da una comunità che potrebbe cominciare a svincolarsi dal potere del clero se non avesse più la sensazione di essere minacciata): ad esempio le accuse ai capi degli Judenrat di connivenza con i nazi. Mi sono fatto un'idea che i materiali che non vediamo fossero intercambiabili e quelle pause, la scelta di sottolineare la distanza anche fisica e la sudditanza segnalata dalla posizione delle riprese sia un'ulteriore sottolineatura del processo-farsa. Ma anche il disprezzo per quella genia di servi per i quali non possono che prevedersi trattamenti di quel tipo. Credo che si debba tenere conto del punto di partenza del loro lavoro. Braumann è dei due quello che ha avuto l'illuminazione e gli è derivata dalla lettura di Hanna Arendt: la selezione la fece già lei e non ritenne di avere bisogno di rimanere lungo tutto il processo per realizzare il reportage (poi pamphlet ed infine saggio sulla banalità del male). I due autori si sono accorti, credo a posteriori, di essere giunti alle sue stesse conclusioni, o per lo meno si sono resi conto che il materiale che avevano a disposizione imponeva di evidenziare la banalità del criminale attraverso le situazioni più "banali" e la difesa più squalificante, pur non risparmiando l'inflessibilità della corte: illuminante è un brano del libro di Wieviorka. Rispetto alla simil-fiction di Spielberg si direbbe che in questo caso la inevitabile manipolazione di qualunque testimonianza preferisca riportare anche a sprazzi la noia del procedimento rispetto alla spettacolarizzazione, evidentemente ricostruita e dove la presenza della mdp era invadente, che aveva fatto gridare al cinema i ragazzotti nazi di cui parlava Portelli in un articolo di il manifesto. Poi è interessante il film di Spielberg-Moll per il percorso della memoria, ma non a caso risulta più incisiva la parte verbale (il costume rosso, la rievocazione della paura, piuttosto che le latrine teatro di feste dello ion kippur)
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3. Etica e Diritto: l'unica domanda sensata del processo: "secondo lei erano dei criminali?".
Consideriamo che la "testimonianza" fabbricata da Grass ci ricorda che lo specialista non era nemmeno in grado di concludere le involute frasi nel suo tedesco burocratico: quindi è giusto evidenziare le pastoie del burocrate che è il terreno non etico e nemmeno giuridico su cui è stato possibile (perché questa è la domanda di fondo) che persone normali (squallidamente e banalmente normali) abbiano potuto comportarsi in modo beluino, riuscendo anche a trovare puntelli ideologici a cui riferirsi per suffragare le loro devianze. Non so se quella sia l'unica domanda o quella più sensata: per arrivare a formularla bisognerebbe agire su uno stesso piano etico, mentre addirittura si stava su pianeti lontani anni luce. Invece la questione più importante secondo me è poter comprendere come sia possibile che la norma nasconda la mostruosità. E la risposta non può che derivare dalla prassi di rendere meno mostruoso ilostro e denunciare la sua banalità anche nella espressione deviante, anzi proprio espletando la sua pratica criminale si comportava, probabilmente con gli stessi tic sottolineati nell'aula (ma sono gli stessi che potete trovare addosso al capoufficio), nella più assoluta normalità quotidiana. Eichmann era un criminale, sapendo di aderire ad un sistema che si chiamava fuori dal consesso etico umano. Nel momento della sconfitta di quella costruzione ideologica è stato stigmatizzato il sistema dei lager e convalidato quell'altro che riteneva umanitaria la bomba su Hiroshima perpetuando l’autoassoluzione fino a Belgrado e la Cecenia (passando per Sabra e Chatila). Però nel caso del nazismo c'è di più: un senso che si sia stati in bilico su una china folle che contrapponeva alla solita ferocia del potere un potere ancora più feroce, per convinzione derivata dalla ... burocrazia, dalla organizzazione, dall'essere funzionari. E dall’orgoglio di essere specialisti. Tecnocrati. A Gerusalemme nel 1961 si processavano i funzionari, i travet, quelle migliaia di tedeschi (francesi di Vichy, italiani di Salò, ..., funzionari della missione arcobaleno) che furono, e sono, collaterali ai regimi e senza di loro l'oliata macchina dell'ooppressione non potrebbe funzionare. Beh, era un po' difficile fare un'opera di documentazione e contemporaneamente far emergere un dibattito etico che non è avvenuto. Il massimo che potevano mostrare era la banalità del male. Smontare le menzogne del burocrate da parte dei giudici significa accettare un terreno comune che soltanto Tutu e Mandela hanno avuto la forza morale di fare, ma presuppone anche un perdono o un non luogo a procedere: milionate di morti uccisi togliendo loro semplicemente il diritto a vivere con il disprezzo che evitava persino di avere contatto con la loro morte (il gas) lo impedivano: nel momento in cui si condanna a morte Eichmann, riemergono le identità negate dei deportati; è quello che la tradizione giudaico cristiana significa con l'abusata e retorica espressione dare sepoltura. Significa dare corpo ad un lutto. Mandela ha potuto farlo perché Biko ha un nome e, lui incarcerato, Free Nelson Mandela era una canzone che il mondo conosceva. Quando è uscito Primo Levi la popolazione attorno ad Auschwitz negava di sapere quello che era successo.Non solo, qui c'era l'aggravante di essere "fuori-tempo", per cui c'erano già' state decine di altre difese come quella di Eichmann. Infatti non lo sto difendendo. Dico solo che in un processo gestito in quel modo, egli non poteva che difendersi cosi' (e ovviamente in modo vano). Se il fine, era farlo fuori, e' comprensibile, ma in tal caso massimo disprezzo alla ritualizzazione di Stato della vendetta e soprattutto fango su un sistema giudiziario che mi auguro sia cambiato in 40 anni. Qui la responsabilità' sta tutta dalla parte di chi in quel momento esercitava il potere. Il processo poteva e doveva (una volta sbrigate formalità' giudiziarie omesse dal film - e non si capisce se siano state effettivamente espletate - e raccolti i dati per una condanna) spostarsi sul piano etico e li' affrontare e smontare la menzogna del burocrate (la stessa di chi nega l'olocausto per questioni di numeri). Cosi' continuerà' ad essere facile deresponsabilizzare i colpevoli, nascondendo la responsabilità' anche dietro il concetto di mostruosità'.
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Non solo, qui c'era l'aggravante di essere "fuori-tempo", per cui c'erano già' state decine di altre difese come quella di Eichmann. Infatti non lo sto difendendo. Dico solo che in un processo gestito in quel modo, egli non poteva che difendersi cosi' (e ovviamente in modo vano). Se il fine, era farlo fuori, e' comprensibile, ma in tal caso massimo disprezzo alla ritualizzazione di Stato della vendetta e soprattutto fango su un sistema giudiziario che mi auguro sia cambiato in 40 anni. Qui la responsabilità' sta tutta dalla parte di chi in quel momento esercitava il potere. Il processo poteva e doveva (una volta sbrigate formalità' giudiziarie omesse dal film - e non si capisce se siano state effettivamente espletate - e raccolti i dati per una condanna) spostarsi sul piano etico e li' affrontare e smontare la menzogna del burocrate (la stessa di chi nega l'olocausto per questioni di numeri). Cosi' continuerà' ad essere facile deresponsabilizzare i colpevoli, nascondendo la responsabilità' anche dietro il concetto di mostruosità'. |
4. Bisognava lasciare che scrivesse il suo libro di memorie?
Ma quel libro era l'unica occasione che aveva per non difendersi dietro la burocrazia, come era costretto dalla messinscena processuale. Infatti, questo tentativo di uscita viene fuori solo alla fine e in occasione dell'unica domanda sensata del processo ("secondo lei erano dei criminali?"). Poi, magari, non l'avrebbe fatto, e comunque io stesso, potendo, non gliene avrei dato l'occasione.
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Ma è inaccettabile che lo infarcisca di schedine, cifre e burocrazia varia: è peggio del medico di Spielberg, perché pretende di spacciare una logica per il suo operato, quando il bastardo invece se ne fregava, consapevole di non poter trovare punti di confronto. In fondo la mostruosità "banale" di Eichmann sta nel fatto che pretenderebbe persino di venire giudicato seriamente: non è possibile perché la loro logica era eticamente fuori dall'umanità. Ed è quello che lo condanna a priori, a prescindere dal fatto che la corte sia a sua volta fascista. |