1. Vida llovida (vita pluviale)

          A tal punto l'omologazione imperversa che Enrique deve venir meno alle promesse fatte all'amatissima moglie: la mancanza di denaro (l'indolenza dell'apparato fagocita ogni risorsa da distribuire secondo diritti minimi di sopravvivenza) lo costringe a disfarsi degli oggetti che rappresentano memoria. Il vecchio intellettuale è cromosomicamente corazzato per resistere all'oblio immanente alla natura della fosca massa di vapori ristagnante, però è turbato dalla sottrazione di tangibilità degli oggetti testimoni di tempi perduti.

    Pure lo spazio che ostinatamente si ritaglia Tito di Radio Espera (FM 114,7: se riuscite ancora a riconoscere le fragranti frequenze di denuncia e contro-informazione, diteci cosa si ascolta laggiù dove c'è chi jamas se arrendera) rappresenta uno spicchio di modalità di formalizzazione della realtà antagonista, applicata all'incubo della Nube ammassatasi dopo la deriva del Proceso Militar. Diventa una festa ad ogni incursione della radio nomade.

    Ma anche la televisione non viene dimenticata. Intrusivo, dopo la parentesi quasi da grotta primigena del teatro circolare elisabettiano, l'apparecchio televisivo fa capolino a più riprese e senza venire demonizzato (come nel caso di Agresti nel suo ottimo Buenos Aires Viceversa), si trova a ricoprire un ruolo di depauperamento delle coscienze. Nel primo capitolo comunque si limita ad accennare semplicemente l'ennesima forma di rappresentazione della realtà, aggiunta a radio, teatro, tango e romanza. Segni in libertà sparsi per il testo e messi a confronto all'interno del loro potente e differente intreccio con la realtà






















    Digan no














    Todo non se puede perder

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