0. Dignità: "Digan no"


          Il film si struttura in quadri duplicati dai teli che costellano lo spazio liberato del teatro ed il percorso è d'impianto teatrale, vivacizzato dai movimenti di macchina avvolgenti. Persino prendendo come base di molte sequenze il budello lungo del cortile dei docks occupati (che richiederebbe molti movimenti in verticale, riservati al gran finale con dolly) gli autori riescono a vivacizzarlo con frequenti variazioni ed un costante movimento, a volte laterale, spesso in penetrazione dello spazio o spesso attorno ad un fulcro. La cinepresa è mai doma, come gli attori: in mano a Solanas non si ferma mai, scorre da sinistra a destra sulle tavolate e poi torna come un pendolo del moto perpetuo, abbandonate le oscillazioni da diapason scruta avvicinandosi ai visi, oltrepassa tende al di là delle quali si scoprono ... lombaggini, gira vorticosamente nell'arengo degli attori, segue senza eccessivi stacchi e quasi nessun campo/controcampo i dialoghi, preferendo disporre gli attori nello spazio come se si assistesse dal vivo ai loro dialoghi, anch'essi ripresi muovendo circolarmente la mdp in modo da suggerire la strategia dell'assedio, proponendo un'allegoria politica che conduce alle soglie della disperata resa per trovare nuova linfa e librarsi liberi verso nuove forme di resistenza anti-autoritaria. Per questo nonostante l'indubbio pessimismo, si può rintracciare un sentiero che conduce alla morte di ciò che eravamo (Fulo parte, Enrique muore, la Boca è sventrata, ...), ma solo per riproporci sotto nuove spoglie, tuttavia sempre risolute, caparbie, irreconciliate, ribalde, avverse a qualsiasi compromesso, determinati a non metterci in vendita, perché nessun prezzo ripaga dal potersi permettere di sbeffeggiare il potere. Infatti si ride anche molto, come nella sequenza passo uno di Cachito dog-sitter.

          Todo non se puede perder

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