Sinossi : Il regista di Morte di un matematico napoletano, Un amore molesto e Teatro di guerra per questo lavoro su commissione aveva preso spunto dal suo viaggio nei campi di Tinduf, dove vengono ospitati i profughi del territorio costiero che fronteggia l'ignaro paradiso turistico delle Isole Canarie: 1973, mauritani da sud e marocchini da nord cancellano una nazione indipendente che organizza la propria vita in mezzo al deserto algerino e lo fa dando vita a una comunità democratica fondata sulla solidarietà e l'assenza di denaro. Martone riassume nell'immagine mentale della veglia notturna di un bambino morso da un serpente le condizioni di vita e il dibattito interno alle genti che vivono nei campi profughi organizzati dal Fronte Polisario; la nostra sopita memoria di manifesti caratterizzati dai turbanti berberi da cui spunta il fucile della lotta di liberazione viene risvegliata dalla traccia sbiadita di uno dei luoghi topici delle lotte degli Anni Settanta, ancora in bilico tra rinvii e speranze di una soluzione che ponga fine alla loro "distanza dal mare", una condizione di nostalgia più volte ribadita dalla figura quasi leggendaria del nonno pescatore a Dakhla. La lotta della giovane vittima contro il veleno diventa metafora poetica e per nulla fastidiosa della determinazione della Nazione cacciata dal Sahara Spagnolo. Il film, realizzato in collaborazione con le genti del campo di Smara, segue l'odissea notturna del padre di Sidi alla ricerca nel buio del deserto della guaritrice che può salvare il figlio, fino all'epilogo enigmatico, irradiato dalla luce dell'alba: il risveglio di un altro ragazzino, chiamato alle sue incombenze, lo stesso che, senza subordinare a domande il prestito del mulo nella notte, era tornato a casa a piedi.
Il film ha un corollario in un video distribuito da "il manifesto": Sahrawi, voci distanti dal mare, che si avvale della voce off di Fatima Mahafud, consulente nel film di Martone, girato durante le riprese di Una Favola Saharawi. Nel documentario, fatto di occhi neri profondissimi, nella maggioranza muliebri, poiché gli uomini sono impegnati al fronte, si approfondiscono tutti i temi che nella semi-fiction vengono inseriti nel plot come situazioni ambientali: l'aula scolastica, da cui s'inizia il racconto del regista partenopeo, è conseguente ad una cartina politica dell'Africa su cui la zoomata va a cogliere il dettaglio della zona cancellata dall'occupazione, ricca di fosfati (quarta produzione mondiale), petrolio, uranio. Su quella mappa esiste ancora la patria Sahrawi e la cinepresa indugia sui volti dei ragazzini che raccontano la loro esperienza dei mari; sono esperienze lontane dalla loro costa, nazioni europee dove il Polisario li invia ogni anno perché "Vogliamo guerrieri che abbiano studiato, non guerrieri ignoranti", come dice la giovane guida del documentario, orgogliosa che i ragazzi della generazione nata in esilio siano tutti diplomati all'estero e tornati profughi. Anche la guaritrice che ha un ruolo centrale nel film di Martone è intervistata nel documentario degli stessi autori del film su Sidi, come se il piglio giornalistico le conferisse un ruolo sociale, cui la poesia della finzione allude soltanto, privilegiando la sua figura incorniciata nella tenda mentre succhia il veleno dalla gamba del ragazzino. Persino la land rover in panne della favola trova uno spazio lirico nel reportage, nel quale le viene dedicata una poesia; come quella recitata in onore del bambino sahrawi, emblema del riscatto del popolo, che si coglie soprattutto nelle riprese, il cui taglio coincide sia nei percorsi del film impegnato a incorniciare la storia nella quotidianità, sia nelle perlustrazioni del territorio del documentario: in entrambi vediamo residui della guerra, pronta a riesplodere a ottobre quando le attese saharawi saranno calpestate da Mohamed VI e scadrà il cessate il fuoco.
Si fissa il rispetto soprattutto nei volti ripresi dagli autori: le espressioni selezionate sono fiere e mai colte nell'indigenza, la macchina a mano usata con parsimonia scorrazza talvolta nei giochi dei bimbi, ma si tiene a debita distanza dalla privacy delle tende, dove a scandagliare i visi delle donne durante le pause per il tè si fanno largo lente panoramiche che sottolineano l'eleganza dei tratti e dei gesti, che ritornano nella festa di matrimonio, inserita con intento antropologico, però sfruttando le pieghe della sceneggiatura, grazie alla quale non si sfora mai nel petulante, traendo drammaticità dal montaggio alternato della condizione delirante del ragazzino, che consente di riprendere il tema del mare, con la ricerca del padre, che permette incontri e discussioni politiche, dove si confrontano posizioni radicali e più concilianti verso l'operato dell'Onu. Questo momento centrale del film viene isolato su un camion nella notte con tre interlocutori e il solito dubbio se sia meglio cercare vie diplomatiche con un nemico arrogante o rivendicare il proprio diritto senza compromessi.