Si tratta però di un teatro fotografato in modo dinamico, dove ogni quadro è tale all´inizio per consegnare all´immaginario dello spettatore la percezione dei molti universi che convivono: si nota in particolare con il canto Ça ira!, che isola un preciso ritratto, dapprima a distanza, nella solita inquadratura totale che introduce il nuovo scorcio, seguito da un avvicinamento utile ad approfondire la situazione che si vuole documentare e che istoria il fulcro con una serie di icone che si incastonano attorno ai battibecchi politici tra l´inglese e l´Orléans e che sono la vera gemma del film tesa a mostrare la divisione e lo scontro delle diverse interpretazioni del senso della rivoluzione, fino alla frase rivelatrice di Orléans (il cui figlio sarà sovrano dopo la parentesi bonapartista): "Bisogna guardare più lontano. Per i nostri figli facciamo tutto questo".

A quell´insieme di quadri abbozzati con raffinato spirito quasi didattico si aggiunge il gusto del trompe l´oeuil, il piacere del fondale parzialmente dipinto secondo i parametri della illustrazione d´epoca e in parte frutto di una maniacale ricerca del pezzo antico, del mobile, che funga da testimone muto, spettrale vestigia di un´epoca scelta per due motivi: uno è che Rohmer è francese (Olmi ha infatti scelto la fine del Rinascimento per esprimere lo stesso concetto di superamento di un´epoca), ma soprattutto individua in quel periodo gli stessi pericolosi prodromi di intolleranza e settarismo, di crociata tra culture e concezioni del mondo, che accomunano quel travagliato periodo a quest´altra epoca di integralismi, ovvero di orrore; non è un caso che scelga di narrare solo dal 1790, quell´anno di scarto significa che la Rivoluzione rimane un episodio positivo, doveroso; sono gli sviluppi successivi, la deriva terroristica e autoritaria (due aggettivi ricorrenti anche ora) a contenere gli accenti di modernità che consentono di ricondurre alcune preziose battute alla condizione odierna.