Però forse, alla fine, il film è un film d´amore: non quello della passionalità estrema, ma quello dell´affetto e della stima reciproci; quello di persone attempate che nell´incontrarsi rivedono un po´ della loro passione e si accontentano di vivere il loro legame sottotono; anche nella contraddizione, nell´oltraggio della doppiezza (il voto alla Convenzione da parte del duca, che dice di voler difendere e poi fa scapitozzare il re) e nella ricomposizione della tolleranza (la nobildonna fa tutto sommato riappendere il ritratto alla parete)

In tutto questo le modalità della realizzazione, con quei colori slavati che sembrano quelli dei primi film a colori di Renoir, o dei western anni 50, o meglio ancora quello dei quadri d´epoca riprodotti sul cartone delle scatole di cioccolatini (vecchio Piemonte, sempre...) non mancano di sottolinearci che si tratta di una operazione a tavolino, di un ragionamento astratto, di un conversare. La tecnologia per una volta non mostra la "distanza" dell´autore ma il suo tono colloquiale con noi. E per una volta anche la pratica sciagurata del doppiaggio (e della traduzione, che permuta L´anglaise in Nobildonna, forse perché in italiano "l´inglese" poteva essere tanto uomo quanto donna) ci regala una chicca in positivo: in un dialogo tutto contro i rivoluzionari, si dice di loro che "ci parlano dei Lumi/ ma che si aprano gli occhi", dove l´edizione italiana si lancia, credo inconsapevolmente, in un gioco di parole addirittura petrarchesco ("E vidi lagrimar que´ duo bei lumi": identificazione degli occhi, appunto, con i "lumi"). Ringraziamo dunque, con tutta probabilità, il caso, a meno che anche in francese esista questa equivalenza.