La prima ondata di discussioni sul film si è concentata su aspetti contenutistici particolari del film: il lutto e la religione. Vi proponiamo qui il susseguirsi cronologico dei messaggi.
Altrettanto istruttivo lo speciale andato in onda su raidue prima della proiezione di Aprile: hanno sostanzialmente mostrato gli episodi clou del nuovo film, intervallandoli ad una lunga intervista a Moretti + Morante: dagli spezzoni (comprensivi di tetta) non si poteva ricostruire la bolla di emozione creata dai tempi del film, mentre dalle risposte di un Moretti particolarmente disponibile e tollerante risultava "normalizzato" l'intreccio e alla fine composta e in via di assorbimento l'elaborazione di lutto. Interessante il fatto che Moretti dicesse che si era sentito più coinvolto nella fattura di questo film rispetto alla tac che aveva esperito prima di Caro diario; curioso, ma non incredibile. Infatti anch'io ho avuto la percezione di venire assorbito emotivamente dal film, nonostante (anzi proprio a cagione) il fatto che non abbia figli e tantomeno morti, proprio perché si scatena l'immaginario, non avendo riferimenti personali in eventi realmente avvenuti. In questo modo si aggiungono inferenze provenienti dal dolore altrui, comparate con la propria "cognizione del dolore", diventando racconto auto-commovente più di quanto non possa fare il ricordo di qualche evento affrontato.
adr
Un amico ha pianto come un vitellino dalla morte di Andrea in avanti, ma ha avanzato per l'intera prima parte riserve che vi rilancio, cercando di non prendere posizione.
Egli è rimasto irritato dalla descrizione della deliziosa famiglia serena e senza problemi, dove il ragazzino accondiscende in modo a suo dire totalmente irreale (questo amico ha sessant'anni e due figli adulti) ai voleri del padre, seguendolo nel jogging o cantando Caselli: questo, per la sua cultura da vecchio di Lotta continua, lo ha basito individuando il germe della capitolazione di Moretti rispetto alla imperante cultura cattolica che pone al centro la famiglia. In soldoni si chiede se era il caso di dilungarsi a dare un quadretto idilliaco di una famiglia borghese perfetta per insinuare il dolore in quel contesto, anziché privilegiare qualche altro aspetto della società non così corrotto dalla vulgata papista, dando in questo modo una legittimazione all'esclusiva cattolica sull'accoppiata affetti/dolore.
L'altro aspetto che sempre questo amico non ha apprezzato è il modo in cui è stata tratteggiata la figura professionale dello psicanalista: "una macchietta dei peggiori luoghi comuni sugli psicopompi", mi ha detto, aggiungendo che lo avrebbe visto meglio dall'altra parte del divano.
Su questo secondo aspetto sarebbe da considerare anche l'articolo comparso su Il sole 24 ore di ieri a firma di uno psicanalista (credo, visto il gergo), che confermerebbe sia le peggiori insinuazioni sugli psicanalisti (riesce a forzare il testo fino a dimenticare la morte reale del figlio per dare credito alla morte simbolica post-edipica), sia il fatto che la categoria ha preso molto sul serio la ricostruzione di Moretti, senza sentirsi vilipesi.
Ho pensato che essendo una voce (parzialmente) fuori dal coro poteva stimolare maggiormente il dibattito.
adr
Per riprendere le provocazioni dell'amico di Adriano (che se non altro non suonano come quelle del «Foglio», tipicamente italiana nel suo proporsi come «bastian contrario», contro il pensiero dominante incensante, tutti coglioni tranne lui che ha capito tutto, e che però sono anch'esse parte del copione: tutti d'accordo tranne uno che per principio dice il contrario, ed è quindi altrettanto conformista oltre che sentenzioso e didascalico), direi che proporre un modello di famiglia di questo genere è funzionale a mostrare poi il relativamente veloce sgretolarsi dello stesso; e quindi mostrarne le debolezze.
Proprio un tran-tran e una professione costruite nel tentativo di razionalizzare il più possibile gli eventi e, dove questo sia impossibile, nell'imparare a incassare i colpi più o meno bassi della vita, mostra la corda di fronte all'imprevisto. Ho l'impressione che gli psicoanalisti tutti, forse quasi tutti, non possano dire ai loro pazienti molto più di quello che dice Moretti-Sermonti. Devono innanzitutto ascoltare, come ben detto da Adriano, e prendere per mano il paziente, accompagnarlo alla scoperta di sé, anche a costo di dire banalità o di dire poco. Il lavoro grosso, e in qualche modo anche «sporco» lo deve fare il paziente, insostituibile.
Quanto a Gustavo Pietropolli Charmet, che commenta - bene ma un po' tecnicamente e freddamente - il film sotto la critica di Escobar, è prof. di Psicologia dinamica, e si occupa soprattutto di minori in difficoltà. Agli adolescenti ha dedicato uno dei tanti libri usciti recentemente (per R. Cortina editore).
Comunque il film regge a una seconda visione, fatta a dieci giorni dalla prima. E regge soprattutto nella costruzione: nella scelta del «cut», con spezzature di ritmo, salti di respiro, concentrazione in poche battute, o pochi secondi di inquadratura, di elementi e riflessioni che in altre mani sarebbero stati più espliciti. Reazioni impreviste e poco razionali sono non teorizzate dai personaggi (come troppo cinema italiano ci aveva abituato a vedere), ma piazzate qua e là nel dettaglio; e soprattutto non sono riprese dagli altri personaggi, non sono commentate (finalmente). Una su tutte vorrei segnalare: Moretti-Sermonti che «reagisce» al lutto riascoltando senza sosta gli stessi pochi secondi di un brano di Michael Nyman (che già è ossessivo di per sé). Trovo molto bella la costruzione delle musiche originali come espressione lirica-poetica-emotiva di un fare musica più cerebrale come quello del disco di Brian Eno ascoltato nel negozio e impiegato anche sui titoli di coda.
alberto
>Egli è rimasto irritato dalla descrizione della deliziosa famiglia serena e
>senza problemi
Io non ho trovato il quadretto così idilliaco come alcuni commenti sulla lista e recensioni sulla carta stampata volevano far credere.
Anzitutto non è possibile descrivere una situazione, sia questa de-stabilizzata o re-stabilizzata, senza mostrare prima ciò che viene modificato dall'evento chiave nella narrazione. Ma, a parte questa ovvietà, che però a quanto pare ha stupito qualcuno, a me sembra di avere individuato nella prima metà del film una serie di sotterranei piccoli fatti che in qualche modo fanno presagire la disgrazia imminente: Perchè ad esempio il bel Moretti va, senza alcun motivo apparente, nella stanza vuota di Andrea proprio appena prima della sequenza in cui Silvio Orlando racconta del suo sogno con la nave piena di morti?
Perchè la famiglia si mostra molto più attenta alle esigenze del figlio? vedi partita di tennis con Mamma, Papà, Sorella e uomo di quest'ultima come spettatori (mentre a vedere le partite di basket della sorella si va solo dopo l'incidente). Vedi il bel Moretti che cerca maggiormente la compagnia del figlio anzichè della figlia (la corsa e il giro in libreria in cui il furto del fossile avrebbe dovuto essere confessato).
Vedi il dialogo (futile) tra Sermonti e signora a proposito del fatto che il figlio abbia una mentalità scarsamente competitiva (da notare che il signor Sermonti per sottoporre all'attenzione della moglie una simile idiozia si sia preso la briga di andare fino nel di lei ufficio)
>germe della
>capitolazione di Moretti rispetto alla imperante cultura cattolica che pone
>al
>centro la famiglia.
Buona questa. Tanto per cominciare la famiglia, per quanto vilipesa-maltrattata-odiata è uno dei centri del cinema di Moretti almeno da Ecce Bombo in avanti.
E poi, adr, il tuo amico durante la crisi del signor Sermonti a proposito della frase detta dal prete si era per caso addormentato?
Ci vuol poco a capire l'incazzatura del protagonista per una frase che non significa assolutamente niente; il bello secondo me sta proprio lì: Moretti ha mosso una critica alla religione cattolica (anzi, diciamo pure cristiana) in quanto: non è in grado di spiegare la funzione del dolore all'interno dell'esperienza umana. Non è in grado di spiegare il ruolo del male e della sofferenza presenti non solo nella vita dell'uomo come animale "razionale" ma nell'evoluzione stessa dei fenomeni naturali.
Questa critica, per quanto tra le righe, all'interno di una cinematografia di un paese come questo dove la chiesa fa da sempre i comodacci suoi, secondo me è cosa buona e giusta.
jovan
> Buona questa. Tanto per cominciare la famiglia, per quanto
> vilipesa-maltrattata-odiata è uno dei centri del cinema di Moretti almeno da
> Ecce Bombo in avanti.
Vero e ha dato legittimazione al resto degli insipienti registi italiani - meno dotati - per occuparsi del loro ombelico. Però forse non era mai stato così poco critico nei confronti dell'istituzione: spesso i genitori venivano vilipesi o costretti a osservare in silenzio. Qui questo avviene con l'accondiscendenza con cui i figli trattano le manie del padre, quasi fosse già senescente.
> E poi, adr, il tuo amico durante la crisi del signor Sermonti a proposito
> della frase detta dal prete si era per caso addormentato?
No, gliel'ho fatto rilevare anch'io quando ha accusato di catto-morettismo latente. Però mi ha risposto che si potrebbe leggere come momento di rabbia perché la Chiesa viene meno alle aspettative: lui - uno psicopompo! - si sarebbe atteso conforto e con quella frase si direbbe che Moretti stesso si aspettasse dalla religione che svolgesse il suo ruolo cauterizzante a cui - credo erroneamente - siamo portati a limitarla. In realtà quello è sicuramente il ruolo che il bisogno di elaborare il lutto collettivamente attribuisce a qualunque religione, ma in effetti il sostrato filosofico della stessa dovrebbe innescare un processo di meditazione capace di trovare requie individuale per ogni animo distrutto dal dolore e consentirgli di trovare un appiglio per continuare. Questo è il dramma di Sermonti, che troverà pace autonomamente aggrappandosi ad Arianna (il filo che lo porta fuori dal labirinto ha dunque una provenienza mitologica non ebraico cristiana) per arrivare alla spiaggia dalla quale ricominciare.
Dunque leggerei l'episodio della vuotezza delle parole del prete e il successivo furore come una nuova edizione della rabbia esplosa di fronte alla parola Kitsch in un film precedente (credo Palombella rossa), ma che proviene dall'importanza che da sempre il cinema di Moretti attribuisce alla parola e che con quello sbotto anche comico - nonostante la situazione - si tende a colpire il singolo individuo-prete, impreparato a svolgere il suo mestiere, come la giornalista che voleva intervistarlo ai bordi della piscina. Perciò credo che non sia una battuta che possa venire portata come prova del perdurante agnosticismo di Moretti, inquanto non attacca l'istituzione, ma il modo in cui i suoi ministri non sono più in grado di usare della loro dottrina per aiutare.
Mi trovo perfettamente d'accordo sull'analisi relativa all'incapacità della Chiesa di consentire adesso, in questa società, di lenire il dolore o di farlo accettare, però non credo che Moretti volesse esprimere questo. Gli bastava intervenire sul (mal)costume dove la superficialità impera e lascia attoniti coloro che vengono colpiti dal destino impreparati.
> Questa critica, per quanto tra le righe, all'interno di una cinematografia
> di un paese come questo dove la chiesa fa da sempre i comodacci suoi,
> secondo me è cosa buona e giusta.
Qualsiasi tentativo di scalfire anche solo minimamente l'ipocrisia che ammanta
ogni espressione di Santa Romana Chiesa Cattolica Apostolica è nostro dovere e
fonte di salvezza. Però poteva forse incidere maggiormente: avrebbe però o
scatenato polemiche (rischiando la censura: ricordiamo Scorsese, Ciprì,
Godard...) o allentato l'attenzione, se avesse inserito uno sproloquio
filosofico in mezzo a quella situazione sicuramente meno impegnativa e più
giocata sulla quotidianità nella quale ciascuno può riconoscersi.
adr
Il giorno 21-03-2001 14:35, Lista Expanded Cinemah, [email protected]
ha scritto:
> Perchè ad esempio il
> bel Moretti va, senza alcun motivo apparente, nella stanza vuota di Andrea
> proprio appena prima della sequenza in cui Silvio Orlando racconta del suo
> sogno con la nave piena di morti?
Mi sorge un dubbio. Io ho interpretato la primissima sequenza, con visita alla stanza vuota, come un introduzione a un flashback (che si chiude poi, non a fine film, a ma in occasione di una sequenza gemella piu' avanti.
Sbaglio?
Marcello.
Due cose: 1 è vero spesso chi ci crede mi sembra, almeno in certe situazioni, portato a considerare la religione solo come un appiglio nelle difficoltà. 2 Ricordiamo però che Sermonti dalla messa e dalla chiesa non si aspettava proprio nulla perchè la messa è stata richiesta dai compagni del figlio e non dalla famiglia; va quindi considerata un di più nel percorso di elaborazione del lutto. Il bel Moretti avrebbe avuto lo stesso una storia con dei tratti portanti anche senza questo episodio che è quindi stato introdotto proprio come polemica che un laico rivolge all'atteggiamento della chiesa in un dato frangente.
Lui non aveva nessuna aspettativa, si è (giustamente) incazzato ed è stato critico e basta.
>Questo è il dramma di Sermonti, che troverà pace autonomamente
>aggrappandosi ad Arianna (il filo che lo porta fuori dal labirinto ha dunque
>una
>provenienza mitologica non ebraico cristiana) per arrivare alla spiaggia
>dalla
>quale ricominciare.
Bella questa osservazione sul nome della ragazza, non ci avevo minimamente pensato.
Secondo me però il finale non è così positivo come ad un primo sguardo potrebbe sembrare. C'è, è vero, tutta una enorme differenza cromatica tra l'Adriatico (scuro e malinconico come pochi mari sanno essere) e il Tirreno più chiaro e, nel nostro caso, illuminato da una bellissima luce tardo invernale.
Ma le inquadrature finali con l'ultimo saluto di Arianna (la prima a non sorridere neanche un momento, conscia della sua impossibilità a portare aiuto, e conscia, forse, di aver deluso la madre che aveva mitizzato l'amore adolescenziale di suo figlio) e i tre della famiglia Sermonti che camminano in tre differenti direzioni come automi su una spiaggia, guardacaso, deserta suonano come un ri-precipitare nella situazione che la famiglia viveva fino a 3 secondi prima che Arianna suonasse il campanello di casa.
jovan
> leggerei l'episodio della vuotezza delle parole del prete e il successivo
> furore come una nuova edizione della rabbia esplosa di fronte alla parola
> Kitsch
> in un film precedente (credo Palombella rossa), ma che proviene
> dall'importanza
> che da sempre il cinema di Moretti attribuisce alla parola e che con quello
> sbotto anche comico - nonostante la situazione - si tende a colpire il singolo
> individuo-prete, impreparato a svolgere il suo mestiere, come la giornalista
> che
> voleva intervistarlo ai bordi della piscina.
Non sono daccordo.
Secondo me anche la giornalista di Palombella rossa non era solo una ignorantella tra i colti giornalisti(???) e la critica anche allora era verso il giornalismo (idiota quasi tutto quanto) in generale, non verso la singola giornalista...
Io credo che dare del ladro a Dio (lo fa il sacerdote) e poi chiedersi cosa cazzo volesse dire (lo fa lo psicopompo padre di un figlio appena sepolto) e' anche qualche cosa di piu' di un attacco all'istituzione. Insomma la storia delle parole, dell'attenzione ai termini va vista diversamente... infondo e' piu' simile al Moretti del "di' qualcosa di sinistra". E in genere non sono uno che fa cadere come si suol dire le cose dall'alto.
Sonia
> i tre della famiglia Sermonti che camminano
> in tre differenti direzioni come automi su una spiaggia, guardacaso, deserta
> suonano come un ri-precipitare nella situazione che la famiglia viveva fino
> a 3 secondi prima che Arianna suonasse il campanello di casa.
A questo proposito ho visto per caso un'intervista, penosa peraltro, a Moretti in tv. Ha detto sul film una serie di banalita' tremende... va beh...
Nell'intervista lui diceva che i tre che camminano sulla spiaggia nel finale volevano indicare che le loro vite stavano ricominciando serenamente... ma anche a me pareva il contrario. Al giornalista che lo intervistava no, credo, perche' non ha detto niente. Forse era uscito prima della fine?
Sonia
posso dirlo?
a me moretti non ha esaltato....
spiego.
forse sono lontano, miope e freddo, però de La stanza non riesco a condividere ciò che viene invece identificato da tutti come uno dei punti di forza: l'urgenza.
tra tutti i suoi mi sembra che qs sia il più elaborato, costruito e volutamente perfetto. Tutto coincide e ritorna come è già stato (ben) analizzato da qlc in lista. La sceneggiatura non ha una pecca e nulla è lasciato in sospeso, nemmeno questo finale così apparentemente aperto.
Il dolore così com'è è preparato fin nei minimi dettagli, ed è indubbiamente maestro nel fornire con poche battute i caratteri e le tipologie dei personaggi. Tutti però troppo giusti: profilo alto borghese della famiglia, professioni ad alto impatto sociale progressista, figlia che non si fa le canne (!), figlio con due occhioni così che è un peccato spegnerli.... Quale urgenza spinge a descrivere questa situazione e il dolore conseguente? Se accusiamo von trier di sadismo, non regge anche per il Nostro qlcs. di simile?
Ciò che voglio dire è che mi sembra che l'unica urgenza, l'unica necessità veramente espressa nel film, sia un bisogno estremo di moretti nel mostrare le sue nevrosi sulla morte, sulla comunicazione, ecc. con annessi feticisti compresi (scarpe, sport, ecc.)
Ok, ma questo accade in ogni suo film. certo, ma poi tutto diventa paradigma, segno particolare di un universale che capisco anch'io, che condivido o rifiuto, ma di cui riconosco una struttura di appello all'immaginario/inconscio collettivo. ex: in ecce bombo riconosco modalità comunicative, segni, tutta una società, al punto che alcune battute sono diventate linguaggio comune (giro, vedo gente...) e non solo perché "fanno ridere". qui, nella stanza, non c'è nulla di tutto qs. il film -bello e "sentito"- mi è sembrato più un fatto suo, solo suo, insistentemente suo (l'autocitazionismo già rilevato) e poco o per nulla mio, là dove invece, affrontando temi così forti e fondamentali (la perdita, la famiglia, ecc. -tutti molto cristiani tra l'altro: possiamo ipotizzare un sacrificio?) sembrerebbe voler dirigersi in ogni direzione. E' un po' come se moretti avesse un fortissimo mal di pancia e si fosse chiuso per sicurezza nella sua stanza in silenzio, convinto che fuori tutti cerchino di curarlo....
l'ho detto.
pamela
> Secondo me anche la giornalista di Palombella rossa non era solo una
> ignorantella tra i colti giornalisti(???) e la critica anche allora era
> verso il giornalismo (idiota quasi tutto quanto) in generale, non verso la
> singola giornalista...
Non so. In fondo nella categoria ci sono anche Silvestri e Alb, Escobar e Pintor, Robecchi e ... Non di soli Guzzanti e Feltri o di Bignardi e Levantesi è fatto il panorama giornalistico. E Moretti anche ai tempi di Io sono un autarchico è sempre stato attento a non sembrare massimalista e ha anche interpretato il ruolo di un prete travagliato (non un don Ciotti, certo) che non avrebbe comunque pronunciato quella insulsa frase. Proprio perché pleonastica e vuota: ecco il cinema di Moretti si è sempre scagliato contro la vacuità espressiva diffusa nella penisola e mi sembra che anche questo episodio rientri in quel suo precipuo interesse.
> Io credo che dare del ladro a Dio (lo fa il sacerdote) e poi chiedersi cosa
> cazzo volesse dire (lo fa lo psicopompo padre di un figlio appena sepolto)
> e' anche qualche cosa di piu' di un attacco all'istituzione. Insomma la
> storia delle parole, dell'attenzione ai termini va vista diversamente...
> infondo e' piu' simile al Moretti del "di' qualcosa di sinistra".
E' proprio su questo che non saprei quale posizione prendere: la questione linguistica, che forse è il motivo per cui ha inserito quella frase. La forza lenitiva della parola (in fondo fa lo psicopompo e dunque la parola è centrale) diventa oggetto di uno studio sbrigativo, sviluppato come un siparietto comico. E questo intendevo quando dicevo "meno impegnativa": il tema apriva possibilità di affabulazione molto più estese dell'isolato grido di dolore di una comicità amara. Poi concordo che la perdita di un figlio sia l'evento più straziante che può avvenire, perché contro-natura, inaccettabile (non ho esperienza diretta, ma il fatto che mio fratello sia morto ha lasciato nei miei genitori una traccia, un'ombra che ancora oggi a distanza di 42 anni non è cicatrizzata completamente; ho visto la madre della mia compagna perdere una figlia e l'annichililmento è stato totale e avrei ucciso il prete che boffonchiò stronzate in quell'occasione, perdendo un'occasione per tacere. Di nuovo centrale è la parola: credo che Moretti si sia trovato a dover scrivere qualche frase nel trattamento e di fronte all'impossibilità di stilare dialoghi intelligenti abbia scantonato, prendendosela con la retorica vacua del prete).
adr
>Di nuovo centrale è la parola: credo che Moretti si sia
>trovato a dover scrivere qualche frase nel trattamento e di fronte all'impossibilità
>di stilare dialoghi intelligenti abbia scantonato, prendendosela con la retorica
>vacua del prete).
Questa scena esisteva così com'è sulla pagina; fra l'altro è stata la scena del "provino" per Laura Morante. Mi sembra che ci sia un equilibrio sostanziale fra l'omelia del prete in chiesa e il monologo arrabbiato di Giovanni Sermonti in casa, in un caso interessante di non contiguità fra campo e controcampo: un dialogo impossibile, che sottolinea ancora di più quel distacco (laicamente vissuto) che avviene fra padre e figlio nella camera ardente.
marc(use)
> Questa scena esisteva così com'è sulla pagina; fra l'altro è stata la scena
> del "provino" per Laura Morante. Mi sembra che ci sia un equilibrio
> sostanziale fra l'omelia del prete in chiesa e il monologo arrabbiato di
> Giovanni Sermonti in casa, in un caso interessante di non contiguità fra
> campo e controcampo: un dialogo impossibile, che sottolinea ancora di più
> quel distacco (laicamente vissuto) che avviene fra padre e figlio nella
> camera ardente.
Intendevo dire che forse la difficoltà di inventare qualche frase molto significativa che potesse confortare davvero o che avviasse una speculazione filosofica molto impegnativa ha fatto scegliere la strada dell'invettiva, che è più nelle corde del cinema morettiano, inserendo così la sequenza che tutti i morettiani attendevano. Perciò può benissimo trattarsi della sequenza attorno alla quale è stato costruita parte del film e sicuramente restituisce la sensazione di una lineare evoluzione tra la sequenza in chiesa e la rimeditazione sulla stessa in casa - in queste rimeditazioni che esplodono a scoppio ritardato Moretti è un maestro - volevo dire che può darsi sia stata imposta da necessità di non avvitarsi in eccessivi approfondimenti filosofici provenienti dalla mancanza di qualsiasi Parola che non sia retorica.
Non è sicuramente sostanziale all'approccio al film, è solo un'ipotesi che mi è venuta alla mente nel momento in cui ho tentato di inventare anch'io qualche plausibile frase alternativa per il prete e un'alternativa possibile a quella sequenza, che confuterebbe l'accusa di Carlo (così si chiama l'amico della critica catto-morettiana),
adr
>- in queste rimeditazioni che esplodono a
>scoppio ritardato Moretti è un maestro - volevo dire che può darsi sia stata
>imposta da necessità di non avvitarsi in eccessivi approfondimenti
>filosofici
>provenienti dalla mancanza di qualsiasi Parola che non sia retorica.
>Non è sicuramente sostanziale all'approccio al film, è solo un'ipotesi che
>mi è
>venuta alla mente
Questa è una interpretazione che ci metterà (quasi) tutti d'accordo.
Il Morettone, a proposito di ritmi e scansione narrativa, è stato, nel nostro caso, bravo a costruire un film quasi perfettamente divisibile in due metà che conservano la caratteristica di avere un ritmo pressochè identico; questo nonostante l'enorme differenza della situazione di partenza.
L'osservazione di adr mi fa pensare che infatti, a livello di sceneggiatura, il rischio di impelagarsi in una divagazione eccesivamente lunga e/o in pipponi simil-filosofici che avrebbero tirato il film per le lunghe annullando il ritmo dell'opera era tutt'altro che trascurabile.
Mi sembra anche che un simile rischio Moretti avrebbe potuto correrlo calcando troppo la mano sui litigi tra Sermonti (che continua a pensare a ciò che avrebbe potuto essere e non è stato) e signora che invece pare, se non accettare, almeno rassegnarsi all'idea del distacco e dell'ineluttabilità di come si sono svolti gli eventi. Infatti sarà proprio lei a non aver nulla a ridire a proposito dell'omelia e a dire chiaro e tondo a Giovanni di essere stufa delle sue elucubrazioni sui possibili destini non verificatisi.
jovan
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