THE ISLAND OF DR. MOREAU (1996)





Il coinvolgimento di Douglas Prendick è palesato dall´episodio del coniglio ucciso da Montgomery per la cena: è una trasgressione alle regole apparentemente innocente, ma sarà all´origine del caos. Tutto si scatena a partire da quella minima libertà, banale, però è l´unico momento in cui si getta una luce sulla vita passata di Douglas (di cui sarcasticamente si sa solo che è impegnato all'Onu), uno spiraglio che si chiude subito, perché egli accenna ad un coniglio affidatogli da bambino e che per sua negligenza morì, ma è inconfessato, o forse inconfessabile, la sua colpa in quel frangente.

Altro luogo retorico è l´ingresso della villa di Moreau: in piano sequenza si seguono gli uomini dalla veranda all´interno e Douglas è lasciato solo a scoprire la casa, quindi si accentua l´identificazione tra spettatore e io narrante, inoltre vengono offerte tutte le informazioni utili come da cliché, qui il regista duplica gli intenti didattici di Welles, come nel finale aderirà al fervorino moralistico dello scrittore. Fino a scoprire la danza conturbante della "donna", che conosce la sua condizione di frutto di manipolazione (al contrario di Rachel in Blade Runner), ma ciò non impedisce la sua angoscia. Questa danza lasciva è quanto di più déja vu possa esistere e anche di più misogino si possa inscenare per dimostrare l´origine animalesca dell´istinto sessuale, che collocherebbe banalmente nella sensualità l´unica prerogativa distinguibile delle donne. Anzi, delle "micette", come sardonicamente, e con l´ennesima scoperta prolessi, la definisce Montgomery, invasato e ossessionato dalle scoperte di Moreau, sotto la scorza di indifferente deriva a cui si è abbandonato.


L´inizio del soggiorno di Douglas sull´isola si divide in due parti per concludersi con il primo incontro con Moreau. La seconda parte s´inaugura nel momento in cui cambia radicalmente la condizione dell´ospite, che viene segregato "per il suo bene" in una camera giudicata a prima vista accogliente. Ciò, come tutto il film, è apparentemente utile all´economia della storia, ma in realtà introduce al tema che più sta a cuore a Frankenheimer: la legge, che più volte farà capolino sotto le spoglie religiosamente fanatiche e che sempre nasconde la propria prevaricazione nei confronti dell´individuo sotto la necessità di agire per delega comunque sempre per il suo bene. Che questo sia il tema principale è testimoniato dalla quantità di volte che viene enunciato il precetto evangelico ampiamento disatteso sul non doversi ergere a giudice per non essere giudicati ("I criteri di giudizio con cui si giudica, saranno quelli sulla base dei quali si verrà giudicati").

L´apparizione di Moreau è sapientemente collocata dopo la discesa nella catacombale sede del depositario della legge, che stempera nel grottesco l´incubo del laboratorio-serraglio, in cui si operano le creature e quindi, toccate ormai tutte le corde si possono sostenere, legittimandole, le farneticazioni spirituali di Moreau. Grazie alla lentezza dell´evoluzione dell´impianto filmico, che durante la costruzione propone il film come un puzzle di dati che gradualmente introducono prolessi tematiche affiancate a graduali slittamenti della situazione in un universo da incubo, si possono tirare le fila del teorema metaforico sostanziale: evocando semplicemente in quel contesto una figura papale. Si arriva così a scardinare certezze millenarie su fede, giustizia, legge e contratto sociale, tale è la dirompenza dell´analogia, se viene immaginato lo stato di sudditanza ad un demiurgo che può essersi permesso di creare mostri di tal fatta: cioè con tutti i nostri difetti e quindi emblema di Dio, figura più volte evocata da tutti coloro che occupano il potere, uomini con cinque dita o ibridi da laboratorio che siano.

L´intera lunga e prolettica introduzione del film è anche un omaggio ai film sulla manipolazione genetica della storia del cinema, probabilmente perché attraverso il rimando si aggiungono altre sensazioni, che possono aggiungere adesione al coinvolgimento dello spettatore. Ed allora Marlon Brando è eliofobo come i vampiri, per lo stesso loro motivo, che il sole è la massima espressione della forza incontrollabile della natura ed è in questa veste che accelera la degenerazione delle cellule; i trucchi sono evoluzione di quelli da Oscar di "Il Pianeta delle Scimmie", per attribuire maggior forza alla metafora behaviorista di entrambi i film; Tod Browning è teneramente evocato dai freaks che occupano la scena per la maggior parte del film; la iena scopre il meccanismo del dolore, analizzando in un rito funebre particolare i resti dell´amico sacrificato sull´altare delle regole, come in "2001, odissea nello spazio" l´evoluzione delle scimmie si riassume nel lancio dell´osso che si trasforma in astronave; le pupille a tutto schermo della parte expanded di 2001 erano già trapassate nell´analisi degli occhi di "Blade Runner", film che in comune ha i replicanti, stadio finale delle ibridazioni di Herbert George Welles e soprattutto la loro ribellione al demiurgo: "Cosa siamo, padre ?!".



Invece non si ripete lo stato di magica sospensione del Kurtz conradiano di "Apocalypse, now", intrisa di arcano, perché Welles è più esplicito e retorico, ma entrambe le narrazioni vanno nella stessa direzione di totale disperazione: è una lettura di Welles originale rispetto alla speranza che l´ideologia gli offriva.

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