We have to go
to the desert

È una possibile chiave: l´accumulazione di doppi, di simulacri degni di Baudrillard, raggiunge livelli così esagerati da richiedere un azzeramento di tutto e questa costruzione ad anello fatta di frammenti onnicomprensivi è il modo più adatto per rinchiudere tutte le immagini e le situazioni evocabili in un cortocircuito, dal quale non rimane che uscire percorrendo la strada perduta, che attraversa il deserto, il tempo e lo spazio.

Lost Highway è il nome del motel nel deserto in cui riappare la moglie morta ed è in compagnia di Dick Laurent, ritessendo così le fila della motivazione per l´uxoricidio: un luogo retorico del cinema americano, aggiungendo un ulteriore tassello all´ordito della rete decostruzionista intrecciata da Lynch per avviluppare la storia al suo interno, impedendole di uscirne, se non percorrendo la strada nel deserto per lasciarsi alle spalle tutti i mondi immaginati in questo secolo di stereotipi, unico progetto che coinvolge destinalmente tutti: la residua speranza è che non esista alcuna simmetria, gli specchi vengano coperti; i simulacri abbattuti ed ogni immagine converga in un buco nero fatto di luce e note jazz eterne come la nota del genis di Il Pendolo di Foucault: infatti Dick Laurent viene sgozzato mentre guarda il suo snuff-movie. Ma ogni immagine prodotta in questa fine millennio è pornografica e dunque non resta che l´azzeramento del deserto, dopo il loro sabba orgiastico di questo visionario film. Liberatorio l´urlo che azzera le immagini fasulle?