¨Era la stessa fanciulla - le stesse esili spalle color miele, lo stesso serico, flessibile dorso nudo, le stesse chiome castane. Un fazzoletto nero a pallini annodato al petto celava ai miei invecchiati occhi da scimpanzé, ma non allo sguardo dei ricordi di adolescente, i seni giovanili che avevo accarezzato quel giorno immortale. E, come se fossi stato la fiabesca nutrice di qualche principessina (smarrita, rapita, ritrovata in stracci da zingara attraverso i quali le sue nudità avessero sorriso al re e ai suoi segugi), riconobbi il piccolo neo marrone scuro sul suo fianco. Con reverenziale timore e con delizia (il re piangente di gioia, le trombe squillanti, la nutrica ubriaca), rividi il bell´addome incavato sul quale si era brevemente soffermata la mia bocca diretta al sud; e quei fianchi puerili sui quali avevo baciato l´impronta corrugata impressa dalla cucitura dei calzoncini corti ... quell´ultima, folle, immortale giornata dietro le ¨Roches Roses¨. I venticinque anni che avevo vissuto dopo di allora si ridussero a un punto palpitante e svanirono.¨.
(Vladimir Nabokov, Lolita, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1959, pag.62, trad.it.di Bruno Oddera)