SHOEI IMAMURA,
Coscienza Critica del Giappone



Le eroine dei film di Imamura(3)
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  • Negazione della Sottomissione

    Ricollegandosi all´esergo di questo capitolo i ritratti femminili più rappresentativi della poetica di Imamura, abbozzati rapidamente nella panoramica fatta, sembrano assegnare maggiore spessore alla sua presa di distanza rispetto alla concezione femminile presentata dalle opere di Mizoguchi, dove le donne, soggette alle imposizioni sociali, sono considerate soltanto per le loro funzioni riproduttive o per le loro prestazioni sessuali; pertanto, oppresse e sfruttate dagli uomini, vengono contemplate attraverso una forma di partecipazione umana al loro triste destino (ad esempio i film Shikamo karera wa iku, Eppure continuiamo a vivere, 1931; Akasen chitai, La strada della vergogna, 1956).
    Imamura reinterpreta così il virtuoso spirito di sacrificio della donna, veicolato dallo stereotipo nipponico, ribaltando l´atteggiamento di sottomissione, che, nel film più noto del regista, Narayama Bushikõ (quello che lo consacrò ufficialmente in Occidente in seguito al successo ottenuto al Festival di Cannes, dove vinse la palma d´oro nel 1983), si trasforma in una lotta per la presa del potere, giocata tra donne appartenenti a generazioni diverse. Infatti Orin, la vecchia madre astuta e calcolatrice, si lascerà condurre dal figlio, come la consuetudine vuole, sulla montagna di Narayama, rendendosi così disponibile alla morte, solo dopo aver verificato che la discendenza della famiglia possa continuare nella direzione da lei auspicata: per ottenere ciò non avrà esitazione ad ordinare l´uccisione dei figli indesiderati.



    Narayama Bushi-ko,
    La Ballata di Narayama,
    1983


    Narayama Bushi-ko,
    La Ballata di Narayama,
    1983
    Il film, tratto dal romanzo omonimo di Fukuzawa Shichiro, scritto nel 1956, era già stato realizzato nel 1958 da Kinoshita, il quale aveva impiegato tecniche pittoriche stilizzate, per creare un´opera di grande poesia e fascino visivo, girata interamente in un teatro di posa. Imamura al contrario effettua le riprese all´esterno ed il suo realismo diventa convincente grazie al rigore formale reso attraverso una notevole capacità di organizzare lo spazio e scandire i tempi della narrazione. La sua versione sembra riecheggiare la tradizione di un dramma kabuki, dove la preziosità della vita è spesso interpretata tramite il tema della morte.
    La Leggenda di Narayama, raccontata dal regista in modo realistico, riesce a scandire le pudiche ritrosie, annullando con crudezza la distanza dei fatti mitici narrati. Il problema dei vecchi, improduttivi e ingombranti a causa dell´età e pertanto lasciati a morire o spinti a farlo, non attanaglia solo la società giapponese, è un tema comune a tutti i paesi del mondo; questo terribile fatto sociale appare giustificabile solo facendo ricorso ad un´antica necessità di sopravvivenza, radicata nell´animo umano.

    La visione personale del regista sull´uomo e sulla società può essere accostata per certi versi a quella espressa da Kurosawa in uno dei suoi capolavori, Ran, dove l´amara solitudine della vecchiaia stava a raffigurare anche le inquietudini dell´individuo, posto di fronte alla solenne interrogazione sul significato della morte, una volta constata l´ingratitudine figliale. Imamura, che conosce la ferocia contro i vecchi messa in atto dalla civiltà metropolitana, ha cercato un contraltare nel mondo contadino come prova o denuncia di un´abitudine storica, quasi naturale. Gli abitanti del villaggio si occupano solo dei loro bisogni primari, soprattutto del cibo non sufficiente a sfamare tutte le bocche: perciò l´autodifesa del gruppo si esprime attraverso la punizione rituale dei ladri e l´autocondanna a morte dei vecchi ultrasettantenni.
    Narayama Bushi-ko,
    La Ballata di Narayama,
    1983