SHOEI IMAMURA,
Coscienza Critica del Giappone



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  • Cronaca biografica di un entomologo

    La produzione cinematografica di Imamura occupa un posto indipendente all´interno della cinematografia nipponica, in quanto il regista si discosta consapevolmente dai contenuti, dai generi e dagli stilemi della tradizione ufficiale, per rappresentare microcosmi particolari, in cui operano personaggi marginali, scelti tra i volti anonimi delle classi basse, alle prese con la tragicommedia dell´esistenza che sanno animare con energica vitalità, poiché le loro pulsioni istintive non hanno nulla in comune con le norme rigide di una società benpensante.
    Nato a Tokyo nel 1926, figlio di un medico, frequentò tutte le scuole d´élite, primarie e secondarie, che lo avrebbero preparato ed indirizzato verso l´Università di Tokyo e soprattutto verso una comoda e sedentaria attività commerciale o una carriera governativa. Ma due fattori lo spinsero in direzione diversa: uno era l´interesse per il teatro moderno, l´altro coincise con un´innata avversione nei confronti delle presunzioni delle classi privilegiate, a cui apparteneva, per solidarizzare invece con gli atteggiamenti diffusi tra la gente comune.
    Quando terminò il liceo, la sua intenzione era quella di iscriversi alla facoltà di agraria dell´Università Nazionale dell´Hokkaido, ma non superò l´esame; allora, piuttosto che fare il servizio di leva, si iscrisse ad una scuola tecnica di Tokyo.
    Dopo la seconda guerra mondiale frequentò la Facoltà di Lettere dell´Università di Waseda per specializzarsi in storia occidentale. Nel frattempo iniziò a scrivere commedie e a recitare in palcoscenico con molti degli attori che avrebbero in seguito lavorato nei suoi film (come Shoici Ozawa, Kazuo Kutamura, Takeshi Kato).
    La sua carriera di cineasta iniziò nel 1951: fu assistente realizzatore alla Shochiku per Ozu, Kobayashi, Kawashima, Nomura, e in seguito, dopo il trasferimento alla Nikkatsu nel 1954 (poiché tale major gli concesse di realizzare Buta to Gunkan), divenne capo assistente e cosceneggiatore per Kawashima e finalmente debuttò alla regia nel 1958 con il film Nusumareta Yokujo (Desiderio Rubato).
    Nel corso degli anni sessanta i suoi rapporti con la Nikkatsu subirono diverse traversie, infatti come per gli altri registi ¨rivoluzionari¨ (da cui prese sempre le distanze per differente formazione culturale), anch´egli non amava essere un autore a contratto e per rimanere coerente alla poetica creativa, che lo ispirò fin dagli esordi, preferì non scendere a compromessi ed allontanarsi dal cinema di fiction, per dedicarsi al documentario televisivo, incentrato sulla ricerca delle radici dimenticate dell´uomo giapponese o sulla rilettura anticonvenzionale della Storia nipponica contemporanea. Fondò in seguito una Casa di Produzione Indipendente, l´Imamura Productions, per garantirsi lo spazio necessario a lavorare senza imposizioni né censure.
    Proprio questi motivi spinsero Imamura nel 1975 ad aprire una Scuola di Televisione e Cinema a Yokohama, il cui scopo consisteva nell´educare giovani registi, dal momento che le maggiori compagnie cinematografiche si disinteressavano alla formazione di nuove leve creative ed i film erano girati esclusivamente da registi anziani. Nel 1986 la scuola venne trasferita a Kawasaki e ribattezzata con il termine di Accademia Giapponese di Arti Visive; oggi raccoglie circa duecento studenti, che svolgono un programma triennale di specializzazione nel campo filmico o televisivo. All´interno dell´Accademia Imamura svolge la duplice mansione di direttore e professore ed è coadiuvato da altri quaranta insegnanti, molti dei quali sono professionisti dell´industria cinematografica.


    Nianchan, Il secondo fratello, 1959
    Ancor oggi Imamura non nasconde una nota di fastidio e di insofferenza, quando la critica (specie occidentale) osa affibbiargli l´appellativo di ¨intellettuale¨: non solo non si considera tale, ma prende le distanze sia da Oshima, che definisce un samurai delle emozioni, sia dal suo maestro Ozu, di cui non apprezzava lo stile rigido e prefissato nel dirigere gli attori e la manipolazione del reale in funzione dell´effetto visivo. In seguito il cineasta limitò il peso delle sue affermazioni e riconobbe nelle opere di Ozu, specie in Tokyo Monogatari (1953), la tradizione autentica dell´identità giapponese, colta attraverso il diaframma generazionale e la disaggregazione della cellula familiare del dopoguerra.
    ¨Io faccio parte dello shomin (gente comune)¨, ha detto una volta Imamura nel corso di un´intervista. ¨È la vita dello shomin che mi interessa, perché ha molta più vitalità della tradizione della cerimonia del the dei samurai. Essere un samurai significa essere idealista, coraggioso, conoscere la vergogna, tutte cose che vengono insegnate a scuola. Lo shomin, invece, è realistico e vigoroso. Oggi in Giappone esistono entrambi questi aspetti culturali e si influenzano l´un l´altro¨.
    Imamura seppe mantenere fede, con coerenza maniacale, a queste premesse, ben rappresentate nella scelta di personaggi dalla vitalità inossidabile, inoltre il suo anticonformismo lo portò a superare numerosi ostacoli per non tradire i propri irrinunciabili principi.
    Mescolando l´espressione del desiderio alla potenza trasfigurante dell´immaginario, i film di Imamura sembrano improntati ad uno stile più naturalistico rispetto alle opere di Oshima, tanto che è possibile paragonare il suo metodo di analisi a quello di un entomologo, che osservi i suoi insetti con la stessa cura e scrupolosità mostrata dal regista nei confronti dei suoi personaggi.