I can't get no satisfaction

I film liberano la testa

É stato a Budapest, su un set porno. La location era un castello, in una sera di giugno, tiepida. Davanti a me, sei o sette corpi intrecciati. Leccavano, spingevano, pompavano l'uno nell'altro. Sospiri e gemiti uscivano ogni tanto dal groviglio, fustigati dal regista che voleva maggiore energia nella scena.

"Fei! Fei! Expression!"

Io guardavo, Sì, facevo esattamente questo: guardavo, né più né meno. Dentro di me, nel mio inconscio, nel mio sistema desiderante, nel mio istinto basico, nulla. Non un moto o uno stimolo. Non una pulsione erotica. É difficile eccitarsi durante la lavorazione di un film hard, così come è assolutamente noioso starsene sul set di un film vero.

 

Però. Però appena l'occhio - e fu meno di un secondo - passò dalla scena vera giù, a osservare il display della telecamera digitale che avevo in mano e che usavo per prendere appunti di ripresa, tutto cambiò. Quell'attività sessuale così poco interessante nella realtà a due metri da me, mutava natura all'improvviso dentro il piccolo monitor. Un membro stantuffante. Una fronte imperlata di sudore. Una lingua che si estenuava su un clitoride.

Non appena la realtà diventava inquadratura, immagine, movimento, suggestione, storia - ogni cosa mutava di segno. E dentro, in qualche posto che aveva a che fare in parte con i miei testicoli ma soprattutto con la mia testa, partiva come un brivido, una scarica elettrica lungo il midollo. Le cose prendevano senso solo lì, in quei pochi centimetri quadrati di cristalli liquidi. E avevo scoperto quello che ero venuto a cercare, la ragione intima per fare Guardami.

[...]

 

La pornostar è un'icona che mette in crisi la cattiva coscienza postfemminista degli uomini maturati, come me, nel gran casino degli anni settanta. Ma appunto perché la pornografia non è il mio pane quotidiano avevo bisogno di documentarmi, conoscere, vedere, incontrare. Spero che il senso profondo di questo lavoro di ricerca sia finito nel film - e non sotto forma di documentazione sociologica.

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Nel porno contano solo i soldi, la fama e il potere che ne consegue, esattamente come in tutti gli ambiti della civiltà occidentale avanzata. Ma mentre nel capitalismo tutto questo si regge su un'impalcatura ideologica che contempla principi morali e/o etici in vario grado invocati (e disattesi), nel porno tutto è reificato al grado zero della legge del profitto. Il corpo è una merce e come tale viene trattato da tutti, secondo la classica regola della domanda e dell'offerta: sia dagli imprenditori del settore che dalla manodopera.

Per esperienza personale, non c'è "tristezza" su un set hard. Non più (certo meno) di quanta ce ne sia in una linea di montaggio o in un ufficio. É, in modo assoluto, un lavoro come un altro. E il fatto che l'articolo in vendita sia il sesso rende tutto più semplice e meno ambiguo: qui nessuno ha secondi fini. Mentre altrove il sesso viene quotidianamente usato da uomini e donne per fare carriera o come strumento di gestione del potere, qui lo scambio è alla luce del sole. E se un'attrice va a letto con il regista per ottenere una parte no fa altro che confermare la regola.

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Lo sperma è uno dei valori di produzione (riproduzione?) essenziali, per un film porno. Eppure è certo che non c'è un solo stallone che consideri quell'emissione una forma di piacere. Anzi, l'estrazione del membro da dovunque si trovi per favorire la ripresa dell'orgasmo è una pratica quanto mai deprimente, per non parlare del fatto che la prestazione viene richiesta a comando. La soddisfazione dell'attore sta nel fatto, semmai, che la ripresa sia "venuta bene" (di nuovo, le parole rivelano inconsapevoli associazioni)

Mi è capitato di parlare a poche ore di distanza, su uno stesso set, con Philippe Dean e con rocco Siffredi. Entrambi, per descrivere se stessi, hanno usato una parola rivelatrice: "Sono un professionista". Di nuovo, è l'etica del lavoro, non il disfrenamento della libidine, la chiave per capire. Sia chiaro che, in questo contesto, uso il termine borghese e capitalista in modo assolutamente storicistico, senza sottintesi di condanna. É un fatto che il mondo moderno si basa su valori strettamente economici. (Una volta c'era la patria, adesso si parla di "Azienda Italia").

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L'aspetto più ambiguo e affascinante della pornografia è quello privato, la relazione che lega chi guarda a quello che guarda.

É la prima domanda che mi sono posto, cercando di riflettere sulle mie reazioni medie alla visione di un film hard: un leve formicolio talvolta seguito da un'erezione, abbattuta dopo circa un quarto d'ora dalla noia della ripetitività delle situazioni. Una sensazione che si condensa nell'idea che i film porno è spesso meglio vederli in fast forward.

 

Però il fascino dell'immagine porno, a prescindere dai risvolti fisiologici, rimane. Ci si ritorna. Credo sia un fatto naturale, così come una copula prelude inevitabilmente a un'altra. É solo una questione di tempo, non c'è soddisfazione definitiva se non nella morte. Da cui l'infinita letteratura su Eros e Thanatos, a cui vi rimando (...)

 

Allora? Allora penso a Moana Pozzi, di cui ho visto quasi tutti i film, cadendo anch'io vittima del suo strano carisma e cercando di darmene una ragione. Perché Moana era certamente disponibile a tutto, ma come attrice (attrice hard) era un vero disastro. Lo diceva persino Schicchi. Vistosa ma rigida, efficiente ma glaciale, incapace di pronunciare anche solo una mezza battuta. E per la verità, dotata di un corpo bello ma non così unico. Un mistero insondabile, finché un gesto in non so quale film mi ha dato una chiave. Mentre passa da un anal a un rapporto orale, per un attimo Moana allunga lo sguardo per controllare dov'è la macchina da presa, si sistema i capelli e poi si mette al lavoro sul membro del collega.

Ecco: Moana si guardava mentre faceva sesso. Era l'unica (perlomeno l'unica a dimostrarlo) che sapeva essere dentro e fuori da sé allo stesso tempo. Se tutto quello che ho detto finora ha un senso, Moana aveva intuito che per coinvolgere lo spettatore girando scene di sesso, non si deve "fingere" di più, ma di meno, al limite dell'ostentazione (...).

 

Fare un film sul porno che non è porno ma che pure, inevitabilmente, lo è, è stato il mio personale "giro di vite" a questa spirale. E la rivelazione di quel giorno in Ungheria riguardava il mio ruolo nel gioco: cercare, dentro le performance di cui ero testimone, un percorso dell'occhio libero dal ricatto del profitto. Non per rivestire la pornografia di intellettuallità o arte, ma per liberare davvero la carne dalle trappole del consumo della sua immagine.

Come diceva Fassbinder, "i film liberano la testa".

(Davide Ferrario su Alias n° 35, 4 settembre 1999, pp. 2-4)


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