Sia in Dark City che in The Truman Show abbiamo una rielaborazione del dott. Frankenstein: il mad-doctor (rispettivamente: Kiefer Sutherland, scienziato disturbato che rispetta appieno l'iconografia di tale figura con supplettivi fronzoli dal nazi-movie; Ed Harris santone new age dell'entertainment, tragicamente distante dall'immaginario gotico-orrorifico e, al contrario, simile a un probabile nipote del Grande Fratello orwelliano) non ricrea l'uomo, ma ne ricrea la realtà circostante e ne plasma (direttamente e/o indirettamente) la percezione; si tratta comunque di una modalità di dominio in qualche modo di aspirazione divina, ma che essendo basata sul controllo e la distorsione dell'informazione attraverso la tecnologia (in entrambe le pellicole è presente il concetto di rete) offre anche analogie più che esplicite con la fantascienza-ormai-scienza del virtuale - caricandosi, quindi, di prospettive politiche. Da qui, e dal connubio (fanta)scienza-religione, il sapore apocalittico che si respira sia in Dark City che in The Truman Show (una connotazione che, non a caso, era del tutto aliena in The Game).

Nelle mani dei "mad-doctors", la realtà si rivela un gioco di specchi: e la stessa presa di coscienza di questa verità da parte del personaggio protagonista non mette fine alla partita, ma, anzi, la rende ancora più (scientificamente, drammaturgicamente) interessante; i tentativi di fuga della cavia dal labirinto non costituiscono che un'ulteriore serie di test di livello superiore (un Pacman all'ultimo livello), una nuova fase di un esperimento/show che si rivela, ora più che mai, totale.

Ma quando il protagonista supera con successo l'ultima prova, il mad-doctor in tutti e tre i casi rivela un aspetto inedito della propria personalità: la benevolenza nei confronti della "creatura", che può emergere attraverso lo svelamento di un progettualità saggia e positiva, e il palesamento, secondo un'ottica inedita fino a quel punto della narrazione, del valore preservativo dell'edificio labirintico rispetto alla brutalità del mondo esterno.

In prossimità dell'epilogo, gli oppositori (i "folli dottori") mutano, in diversa misura, in alleati o quantomeno in mentori, rivelandosi degli oppositori vicari, secondari, di second'ordine rispetto al vero nemico: l'Incognita, ciò che non si ha mai conosciuto, la Realtà. L'ingenuo Truman ci si tuffa da entusiasta fanciullo quale è il personaggio, John Murdock si concede la realizzazione di un bel sogno (il kitsch paradisiaco della cartolina materializzata, che altro immaginare quando tutto è sintetico?).

Fuori dallo scrigno del microcosmo (quello cupo di Dark City o quello patinato del set del Truman Show), oltre la lente d'ingrandimento che lo tiene sotto osservazione, c'è la vera minaccia, il Grande Occhio dalla pupilla nera come un pozzo: gli Strangers sopra Dark City, la Vita reale fuori Truman Studio City.

Queste forze di ordine superiore costituiscono un condizionamento per gli stessi "sadici" doctors: il personaggio di Sutherland si è schierato col Male per sopravvivere, per sfuggire al ruolo di cavia; il regista-eremita Harris ha concretizzato un mondo ideale in opposizione a quello vero e imperfetto. I due "cattivi pavidi" covano una ribellione verso ciò che hanno fuggito o assecondato servilmente, ed entrambi gli scienziati hanno lavorato alla creazione degli "eroici" antitodi umani a quel Male: non resta che utilizzarli ancora una volta come cavie, questa volta su tutt'altra scacchiera.

Vittima e carnefice sono accomunati dall'odio verso quella forza che li ha schiacciati; dunque, quando la creatura si avvia alla prova finale che la consacrerà come un esperimento fallito o come figura eroica (anche se per caso e del semplice quotidiano), emerge e si rivela il sentimento che li lega (padre e figlio), e l'oppositore si fa mentore "sincero".