Personalmente, non rinuncerei ad alcuna sequenza di Heat di Michael Mann; ma in più l'inseguimento e il duello nell'aeroporto suggeriscono un parallelo con l'omaggio persistente e competente di Proyas al sublime Lang: Mann travalica l'esempio e sorpassa anche le architetture luminose di Goebbels e Riefenstahl. La luce è tempo e azione insieme, non solo proiezione e proiettore mentale, ma scultura intesa come agire e prodotto pietrificante dell'agire stesso... TI VEDO (TI ILLUMINO) E SEI MORTO! La tua ombra e' mia alleata! In Dark City, invece le ombre sono rassicuranti nella loro classica minacciosità, anche se è interessante il loro ruolo proiettivo che finisce per invertire le parti (lo si capisce mano a mano), ponendo l'anima nel lato oscuro e insondabile della città (e per fare questo, c'è voluta un'artificiale notte eterna).