14 26 14

Non ha importanza la precisione del discorso matematico, che anzi è giustamente nebuloso nell'intrico di fattoriali, aggiungendo labirinto mentale a meandro fisico, ben maggiore spessore si ricava dalla pregnanza filosofica delle intuizioni palesate dall'approccio matematico: non la pedanteria da prof di matematica del liceo dischiude le visioni speculative adombrate dall'involucro, ma gli approcci di Renée Thom inseriti in un canovaccio avvincente che riedita il meccanismo del jeu au massacre.

Il criterio non è la punizione. Anche se il modello è rigoroso, matematico, tuttavia si disperde qualcosa come nell'entropia; in questo caso si smarrisce la ragione, irrecuperabile nonostante l'impianto sia cartesiano: il metodo può produrre un successo, ma non riesce a descrivere il mondo se non con un'altra narrazione, della quale non si hanno certezze.

I numeri primi sono solo il più evidente e il più classico degli approcci alla materia, ma poi la costruzione teoretica è realizzata visivamente dal metodo dei rapporti tra il tutto (la struttura cubica, ma anche una costruzione metafisica che trova forma nella perfezione del labirinto, molto simile nella concezione teorica a quello di L'Invenzione di Morel di Emidio Greco tratto da Bioy Casares) e le singole parti, che mantengono l'informazione della loro posizione rispetto ad un origine e permettono di decifrare l'algoritmo che sovrintende il moto di rivoluzione su se stesso del cubo, rendendolo un cubo di Rubik di tortura.

Gradualmente con lo stillicidio si fa più complesso il calcolo, ricostruendo il progetto che sta alla base del perverso carcere, dotato di una sola combinazione ricorrente: pitagorico nella ricerca della perfezione attraverso la mistica dei numeri. Questi divengono oggetto di un culto fondato sulla creazione demiurgica di un universo che trova senso solo nell'interpretazione mistica delle cifre. Ma in questo caso è una cattedrale che accentua la propensione all'atteggiamento nichilista

Permutazioni: i numeri dicono come si muove la mappa: bisogna capire in funzione di cosa si muove, in base ad un punto di origine (Ur = 27, ovvero il numero perfettissimo risultato dell'elevamento al cubo del numero tre e numero impossibile in quella posizione data la base 26: infatti 14 26 14 è la triade che dà accesso al ponte dell'uscita, una coppia di numeri che ruotano attorno alla magia del numero due, quello ricorrente nei fattoriali di potenze di numeri primi che danno la certezza di assenza di trappole: infatti sono entrambi moltiplicazioni di numeri primi e 26 è il doppio meno due del 14, ripetuto due volte). C'è poi un algoritmo che regola lo spostamento, assegnando costanti a x,y,z: il calcolo assume il ruolo di demiurgo, ma il mondo creato è perverso, sempre che esista al di fuori delle torture.

La supponenza fondativa della matematica è quella di essere scienza in grado di "pre"-vedere i fenomeni in base a regole imprescindibili ed invece qui neanche "dopo" si vede un qualunque teorema che spieghi gli eventi: non c'è risposta, nonostante la profusione di nitore persino eccessivo, al punto da nascondere ancora di più le soluzioni: la matematica riesce soltanto a tratteggiare i margini dell'involucro. Ricostruisce la forma, ma non ha idea del contenuto. Fondamentale è infatti che non si diano spiegazioni alla fine: per fortuna non c'è motivo palese per quanto viene raccontato e non si sa a cosa corrisponda l'intensa luce in cui sguazza la figura di Kazan, ingenuo come Truman Burbank, immerso nel complementare buco nero incorniciato dalla porta della scenografia dello show in cui era imprigionato da un altro insopportabile totalitarismo meno sofisticato ma altrettanto kafkiano: la dittatura televisiva.









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