|
La pellicola gravita attorno a due nodi centrali : da un lato le immagini negate dalla cecità e paradossalmente dalla loro ridondanza nella diversità dei luoghi e dall´altro il profluvio di parole pronunciate con il solo intento di eliminare la dipendenza da esse. Nell´universo di riferimenti iconici si rivaluta la cecità come opportunità per accentuare la sensibilità nella percezione dei desideri altrui in virtù del superamento della dicotomia borgesiana, che oppone gli specchi, capaci di riflettere un´immagine di se stessi non riconosciuta dall´io, ai labirinti, nei quali non si riesce a vedersi. A trovarsi. Entrambi sono forme con cui moltiplicare i propri smarrimenti: giocando sull´ambiguità semantica del lemma ¨smarrimento¨, lo si collega con la ¨morbosità della morte che attira i romanzieri¨, dischiudendo così la soglia tra i due mondi, come faceva Cocteau, quando giocava sull´ambiguo verbo ¨riflettere¨ e invitava gli specchi a riflettere un momento prima di riflettere le immagini; il passaggio all´ambito delle parole si consuma però con fredde quanto facili allusioni a una risaputa atmosfera hemingwayana. È invece più suggestivo il rilievo omerico che ammanta di un classicismo con echi degni di Klossowski il costante dialogo con gli dei della seduzione, fino al momento in cui il poeta annuncia la rinuncia al divino, perché è stufo di parole. Nella corsa all´annullamento di tutte le forme dell´arte rimane ancora la musica, elemento costantemente presente, in particolare mirata a sottolineare l´eterogeneità dei luoghi toccati dal pellegrinaggio della coppia di irrequieti viaggiatori, che non possono mai trovare riposo, perché si deve sempre fuggire da una morte incombente e pronta a ghermire, nemica quando si nasconde in città dalla connotazione ostile a causa del loro passato nazista e che potrebbero risucchiare l´immagine riflessa del poeta come buchi neri che nulla restituiscono. L´inserimento della babele di linguaggi, per fortuna non fatti oggetto del solito scempio ordito dalle famiglie di doppiatori romani, è funzionale alla ricostruzione delle tracce di senso che emergono solo per lasciare un vago ricordo di sé e accomiatarsi dal mondo, affinché si possano cancellare i frammenti della realtà stessa per congedarsi da essa.
L´estremizzazione dello stato labirintico dell´intero mondo toccato dalla tournée di conferenze si raggiunge in India, dove il delirio senile e la sensibilità esotica per il suo karma poetico lo fanno perdere tra la folla finalmente dimentico della propria esistenza. Smarrirsi assume allora l´aspetto di una nuova guida che lo crede una divinità e lo profuma, massaggiando la sua carcassa di vecchio poeta inaridito anche per la fine prematura del suo nuovo stimolo: il torero, evidente richiamo al toro del labirinto più famoso e metafora scoperta dei combattimenti passionali delegati alla bella moglie.
Un ulteriore stadio verso l´annichilimento è offerto dall´azzeramento del tempo: ¨Se non ci pensi, non esiste¨. Dopodiché tocca allo spazio subire la medesima trasfigurazione, proseguendo sulla stessa falsariga: le descrizioni puntuali degli ambienti del presente che la moglie gli offriva si trasformano in immaginari scenari proiettati forse su un passato solo immaginato da lei, ma dall´ascoltatore vissuto come vero presente a causa di un´ulteriore ambiguità falsificante sia il tempo che lo spazio, dovuta alla complicità del buio, delizia preclusa allo spettatore, il quale invece assiste alla falsificazione della realtà da parte della narrazione, quasi fosse uno specchio borgesiano. A questo punto dunque si nota come la realtà esista solo più come atto verbale ingannatore e quindi risulta sufficiente limitarsi ad ¨ascoltare il silenzio¨ (qualcosa a che fare con Il Vento di Ioris Ivens ?), per cancellare la parola come atto poetico, preludio dell´ultimo definitivo atto interrotto a metà da una macchina da presa discreta, che aveva già assolto il compito di ridurre e sottrarre significanze e canali di comunicazione. È una grande lezione per imparare a tacere e con ciò assecondiamo finalmente il silenzio di Carpi, terminando lo sproloquio.