Un film perduto, che Rick Schmidlin ha rianimato facendo scorrere la mdp sulle foto di scena fortunosamente ritrovate, ha riempito lo schermo del primo Dracula, quasi irriconoscibile dai successivi intrecci, ma molto più inspiegabile e allucinato; ipnotico, e non solo per l'uso che si fa dell'ipnosi per tornare a cinque anni prima, al momento della morte del padre della bella.
Forse ciò che rende spaesante la fruizione è l'assenza di un unico vero vampiro, ma sullo schermo si avvicendano presenze inquietanti. Una diafana ragazza lievitante, un rapporto lesbico camuffato da attacco vampiro proprio come nel Bram Stoker riletto da Coppola, una coppia di "normali", i veri freaks, un segnato giovane attore catatonico, due detective stereotipati e di maniera che documentano come già nel dicembre del 1927 fosse sviluppata una sensibilità metalinguistica che sfocia nella critica d'arte... e poi Lon Chaney al massimo della sua arte.
L'espressionismo si sposa al delirio etilico e produce inquadrature suggestive e barocche, dalle quali traspare la possibilità di trovare il passaggio che permette di rendere comunicanti mondi estranei, morti e viventi agiscono sulla stessa dimensione commista al punto che il morto dopo il disvelamento del suo assassinio rimane ben vigile sulla scena. Fino a rivelare il sotterfugio teatrale: tutto era stato ordito per inchiodare l'assassino, una messinscena che - come era capitato per il Caligari - doveva forse servire per impacchettare quel tanto di perturbante scatenato dal delirio di Tod Browning, ma la chiosa non fuga la sensazione di aver assistito allo scoperchiamento reale di un mondo regolato da fenomeni sconosciuti.