L´acquirente si accorge soltanto a metà film che anche questa volta la sua facoltà di scelta nella ¨Gioia del consumo¨ è stata delegata all´immaginario collettivo e avverte la sottrazione del suo ruolo privilegiato di spettatore, quando ormai è tardi ed il microscopio di Baldoni ha concluso l´esplorazione dei vetrini su cui sproloquiano e sbraitano stereotipi surreali di varia umanità e i protagonisti mollicci e biancastri cominciano ad uscire dalla carne putrescente ed in modo subliminale prendono ad emettere risatine stridule, dileggiandoci apertamente. Gli animaletti occupano con una macro inquietante l´intera inquadratura, anzi ne traboccano, sostituendosi a noi al di qua dello schermo.
Dunque siamo coinvolti e solo per ragioni tecniche non riconosciamo le nostre facce tra le sbarre dello spot sognato dal cane esasperato ed in fuga (beato lui).
Il momento rivelatorio, in cui ogni singolo spettatore raggiunge la consapevolezza di non essere estraneo alla vicenda, è quello al culmine del graduale processo di spostamento della percezione. Questo slittamento è cominciato dalla rivelazione che la prima soggettiva a cui assistiamo nel film (dunque il nostro primo sguardo ingenuo) è gentilmente offerto dal punto di vista del cane e va a concludersi con il primo controcanto verminoso, raccolto da ognuno in momenti diversi come la vera operazione rivoluzionaria del film.
Perciò si ripetono nel montaggio le sottolineature sardoniche dei vermi, alternate al plot narrato dalle soggettive del cane: si procede costantemente avvicendando i conati di vomito del povero animale seviziato dal fotografo aguzzino (Toscani) con le beffarde risatine dei vermi. Ed in questo inarrestabile transito dall´uno agli altri si annida la denuncia dell´irrefrenabile istupidimento della barbarie e prende forma la consapevolezza che la pubblicità si limita a fotografare la realtà.
Non si sentirebbe bisogno di approfondimenti un po´ retorici, come l´invettiva (mai forzata) affidata talvolta all´esasperato e lucido facchino e più spesso al montaggio per attrazioni e contrasti. Una ridondanza perdonabile e forse dovuta alla paura di non essere stato sufficientemente esplicito per spettatori, ai quali anni di televisione impediscono di cogliere la speranza che possa finalmente iniziare quel pranzo non di gala a base di vermi, di cui parlavano Sergio Leone e Mao.