La precisione con cui si interpretano i desideri del mondo canino sembra figlia della sensibilità con cui Pennac descrive la psicologia del cane in Abbaiare stanca (Cabot Caboche è il titolo originale; .in argot significa testa di cane). Anche nel libro si tratta di un bastardino brutto e pure l'inventore della saga di Malaussène usa un espediente tecnico per "mediare" l´innaturalezza di assistere ad un racconto narrato da un animale: nel libro si usa il discorso diretto della tradizione antropomorfizzante (da Esopo, Fedro, LaFontaine,... Disney) introdotto da una presenza autoriale che si rileva solo prestando attenzione a espressioni impersonali con funzione descrittiva di ciò che Il Cane sta esperendo. Nel film i meccanismi imperscrutabili delle azioni degli uomini sono resi ancora più oscuri dal bianco e nero deformato dalle ottiche usate e dal rallentamento del sonoro.
Lo sguardo del cane ci viene attribuito nei momenti di maggior "accanimento" degli umani contro di lui, quindi siamo subissati (come dalla massa di pubblicità che ci sommerge) e ci oscuriamo con lo schermo quando l´animale viene bastonato: in quei casi la macchina da presa in dissolvenza ha un movimento come quando i cani piroettano su se stessi, perdendo rapidamente i sensi. Fin dai titoli l´autore non teme di sorprendere con questi espedienti o con schermi oscurati (occupati soltanto da guaiti di randagi deportati) o con riprese apparentemente poco ortodosse: il capogiro del cane che termina con la chiazza di vomito non fa che accrescere il disgusto per le carinerie dei pubblicitari e per il loro servilismo. È un film volutamente acido e poco indulgente, non solletica il buon gusto, perché vuole essere sgradevole.
Esistono molti cani nella storia del cinema, della letteratura e dello spot, da Jack London a De Fonseca, da Rin Tin Tin a Lassie, ma qui, come in Pennac Il Cane ammaestra gli umani, il botolo avvia un processo più radicale (quasi da orwelliana Fattoria): l'animale, ormai condizionato e frastornato dai mostri creativi, sogna una versione dello spot nel quale mettere finalmente in gabbia tutti i diciasette umani del film, pure quelli che non condividono a pieno la follia pubblicitaria (e magari si vestono inconsciamente da Crudelia Demon).
Il regista gioca a immedesimarsi col cane, ma pretende da noi che facciamo la parte dei vermi.