Lo spettacolo si fa palese performance. La gag ha anche il pubblico e questo è l'elemento che sorprende lo spettatore occidentale, impreparato a contaminare il documentario su una strage di proporzioni bibliche con un siparietto che mette alla berlina tutti i potenti del mondo, non risparmia Arafat (poco presente nel video... e nella società palestinese) "imprigionato a Ramallah", si accanisce con il segretario delle Nazioni Unite e la sua latitanza. Lo facesse qualche comico di professione sarebbe imperdonabile, blasfemo nei confronti dei morti torturati, dei bambini costretti a scavare e poi uccisi senza pietà; ma lo scherno arriva dalle vittime stesse, che così forniscono l'informazione e l'antidoto, lo strazio e la via per uscirne, ribadendo che non sono sudditi di nessuno.
| È sintomatico che si concluda con l'espressione teatrale "improvvisata", il regista ci tiene a sottolineare che il film offre il punto di vista del popolo; è un cinegiornale di base e fotografa l'umore della gente sottoposta all'occupazione, senza paladini, senza aiuti e senza voce. Basta una ciabatta e... il diritto a una risata è ristabilito. |
Ancora una volta una provvidenziale performance ripresa dalla telecamera e ancora una volta il dubbio s'insinua che forse la spontaneità sia stata "ispirata": può essere poco importante, i racconti pregnanti delle atrocità rimangono, e questi momenti commentativi sono abbastanza diversi come impianto e ripresa da distaccarsi da quegli altri di denuncia, però contribuiscno a rendere composito, eterogeneo e un po' dispersivo il racconto di quei giorni di annullamento del diritto alla vita.