Il coraggio non è sufficiente: gli hanno sottratto la telecamera, rimangono solo poche inquadrature rubate e poco comprensibili. Ma la forza civica che promana dalla figura del medico è intatta. La fiducia che riesce a infondere è pari alla determinazione temeraria con cui ha affrontato le truppe d'occupazione e ha cercato di inchiodarle raccogliendo prove sul massacro negato: i cadaveri maciullati per nasconderli, la rimozione dei corpi, le fosse comuni, l'odore intenso denunciato, la posizione dei corpi che accusa la evidente uccisione a freddo di prigionieri... È il momento centrale del documentario e lui riesce a fornire quei dati che lo rendono tale; supera la testimonianza individuale e diventa coscienza collettiva di ciò che è capitato. Depositario della memoria storica dell'evento.
| Quasi non ci si accorge dell'assenza delle immagini tanto vivide risultano quelle del suo racconto raccapricciante. E qui Bakri denota maestria, chiudendo con sagacia la sequenza tornando ad anello sulla testimonianza con cui aveva iniziato intrecciando il racconto del medico: in questo modo riporta la testimonianza oculare di come hanno fabbricato quei resti umani descritti dal medico, sancendo così la conferma e dimostrando la veridicità del racconto. |
Questa parte del video fa un po' rimpiangere che il lavoro non possa - o non voglia, per documentare anche il dopo massacro - essere in massima parte costituito da queste disamine degli eventi negati dagli israeliani e quindi censurati dall'informazione planetaria. Era bastato molto meno per scatenare la guerra contro la Jugoslavia. Non si invoca lo stesso contro il regime di apartheid di Tel Aviv, ma l'intervento internazionale sarebbe opportuno per evitare lo stillicidio di morti quotidiane, che trova riscontro nelle parole della donna che fa da contraltare ai racconti circostanziati del medico. Bello il modo in cui s'intrecciano i due percorsi per arrivare a narrare gli stessi episodi, con parole, immagini e espressioni diverse, ma indubbiamente uguali e terribili. Eppure le parole ormai nella nostra società dell'immagine hanno poca forza, riescono a fare breccia con sforzo; il loro impatto viene fuori alla distanza o magari a una seconda visione: quando riescono a evocare tutto l'orrore che contengono anche nella semplicità di una frase come «L'hanno legato e poi gli hanno sparato».