Ricorsività tra

cinema e società argentina
4º puntata

El amor es una mujer gorda era già una precisa percezione dell’ingerenza statunitense attraverso i gangli finanziari, una metafora dell’occupazione e del fatto che la società Argentina è una colonia.

El amor es una mujer gorda, Alejandro Agresti

Il neoliberismo è in crisi, lo dimostra il caso economico della prima della classe, l’Argentina dei Tremonti a Cavallo, ultima vittima del Fmi e degli altri mostri, ma è stata preceduta da Messico, Brasile, Turchia, Indonesia, …; il Giappone è in recessione da un decennio, l’Europa fa maquillage. La soluzione neoliberista a questo sfacelo è la guerra, provocata attraverso gli agenti della Cia, che fingono di essere il nemico o fomentata da un uso criminale dei media, utilizzando vecchie ruggini confessionali o facendo leva su nazionalismi ottocenteschi. Lo stesso avvenne con la guerra sucia, scatenata dal regime torturatore di Videla in difficoltà e accettata volentieri da una Thatcher altrettanto in declino: la guerra faceva il loro gioco, stupidamente ricompattando nazioni vessate dal liberismo privatizzante miniere e servizi in Gran Bretagna, o comandate in seguito a un golpe (come sono gli Usa, rapiti da un figlio di agente della Cia ex presidente attraverso brogli orditi anche attraverso suo fratello governatore in Virginia, prima dell’11 settembre 2001 oblio di ogni truffa della famiglia Bush, e come lo fu il Cile dopo il golpe organizzato dalla Cia l’11 settembre 1973).

Guerra sucia - 'Los chicos de la guerra', Bebe Kamin Sporca guerra - 'Kippur', Amos Gitai

Nuovamente pochi contributi di riflessione si annoverano riguardo la guerra: mentre una zona così sensibile alla prassi neorealista come l’Afghanistan – così condizionabile dal vicino Iran neorealista e metaliguistico – sta già girando un film sulla borsa nera e le figure che si sono mosse sullo sfondo della guerra, in Argentina invece la guerra di vent’anni fa con il suo esito fallimentare, ma utile per la definitiva cacciata dei militari, annovera pochi titoli della cinematografia più attiva del continente latinoamericano: l’interessante Los chicos de la guerra, che approfondisce attraverso i tre protagonisti i presupposti di una mentalità derivante dalla crescita in una società autoritaria che ha cancellato i diritti civili, il dissenso, la libera discussione delle idee. Come si vede dalla foto allegata, può darsi che la pellicola fosse a conoscenza di Gitai, poiché l’inquadratura è uguale alla scelta di campo di Kippur, in particolare durante il tentativo di salvataggio del commilitone nel fango, ma probabilmente è solo la dimostrazione che le guerre sono tutte uguali, e nessuna può autodefinirsi "giusta". In tutte le altre pellicole in cui si fa cenno della guerra non se ne parla direttamente, ma esiste solo come riferimento temporale, come in Los dias de junio. Mentre il legame tra israeliani e argentini casualmente presente nel film di Gitai si appalesa più approfonditamente in Algunos que vivieron di Luis Puenzo, girato per la Shoah Foundation di Spielberg.

'Algunos que vivieron', Luis Puenzo 2001

Il film, pur nella sua brevità, è composito, perché in un’ora non tralascia di documentare il passato attraverso le interviste ai sopravvissuti della Catastrofe: si apre infatti con il rilievo sollevato da un testimone che sulle enciclopedie non si trova nulla sulla Shoah, mancano i dettagli e già questa attenzione colloca il discorso in un terreno particolare: i superstiti intervistati provengono dall’est Europa, hanno patito vicissitudini diverse – tutte insieme costituiscono un affresco della persecuzione degli ebrei, ma anche un canovaccio di tutti gli episodi di razzismo, provenendo già da una terra che era babele di linguaggi ed etnie, basti pensare a La lingua salvata di Canetti (Adelphi, Milano 1980) – per giungere infine oltreoceano (splendida a questo proposito l’espressione ancora stupefatta della donna liberata dal reparto dei destinati al gas di Auschwitz che si chiede: "Y donde voy ahora?") e i loro destini si ricongiungono in terra argentina con quelli dei loro aguzzini. E qui traspare la singolarità dell’Argentina: la coesistenza degli opposti, costretti a convivere, rimescolando tutti i sentimenti, reinterpretandoli. Ad esempio il rovello di un testimone è la nostalgia, si dirà che è connaturato al tango, ma nel suo caso è più morboso: egli ha bisogno di ricordare lo yom kippur trascorso nel lager per "seguir viviendo", nostalgia del ghetto, delle canzoni e dunque degli amici scomparsi là, rivelando un aspetto che in Europa rimane sempre in secondo piano e invece nel ricordo argentino emerge, forse rinfocolato dalla insurrezione che già durante le interviste cominciava a serpeggiare: la resistenza. Gli ebrei nel ghetto di Varsavia si armarono e resistettero, tra mille difficoltà e divisioni, ma non subirono supinamente come in altre parti del mondo (e come Hanna Arendt sottolineò). Quindi l’interpretazione proveniente dall’Argentina getta una luce diversa sulla ricostruzione, che Puenzo riesce a ordinare cronologicamente collegando i fatti del nazismo con gli attentati all’ambasciata e al Centro di studi ebraico degli anni 90. Si collegano con le reazioni degli ariani, non c’è bisogno di commenti espliciti: all’esordio del film, segnalando l’accanimento dei ragazzini zelanti che perseguitavano i coetanei ebrei, condizionati dalla propaganda razzista, ligi con un fervore inquietante, si conclude l’episodio con il protagonista che narra di un prete cattolico presso cui cerca rifugio il se stesso piangente bambino che si sfoga con l’adulto: "Mi chiamano ‘sporco ebreo’!" e la risposta del servo di Dio fu: "Perché, non sei forse uno ‘sporco ebreo’?"; nell’epilogo una donna riporta indignata i commenti diffusi dopo l’esplosione nel centro di Buenos Aires: "Coinvolti anche passanti innocenti", espressione che nasconde la convinzione che gli ebrei nel centro di cultura non fossero innocenti per il solo fatto di non essere ariani. Il perdurare del pregiudizio è giocato nel film tutto tra quelle due frasi che sanciscono un retaggio ineliminabile, soprattutto in una nazione dove tutte le condizioni (multietnicità e presenza di lobbies naziste) sembrano ricalcare l’humus dove poté attecchire l’antisemitismo. Infatti anche il proceso militar rientra per l’economia del film nel processo iniziato con la Notte dei cristalli, costante punto di partenza dei racconti; i dati sui desaparecidos di origine ebraica infatti corroborano questa persistenza del nazismo e di tutte le sue strategie: la calunnia che diventa verità consolidata nelle menti deboli dei sottomessi alla propaganda capace di spacciare per vero lo slogan: "gli ebrei vollero la guerra" è lo stesso retaggio che si diffonde tra le orde di barbari legaioli, impuniti nelle loro menzogne ripetute sui migranti. Il film a comparti di Puenzo riesce a ricostruire tutte le tappe, lasciando aleggiare una vaga sensazione di rassegnata accettazione del destino: la deportazione e l’azzeramento della personalità ("La vita di ciascuno non valeva nulla, ma guai se ne mancava uno all’appello") a vantaggio della riduzione a numero, la cancellazione come origine della desaparecion, annullata dal fermo di fotogramma e dal documento che attestano l’esistenza dell’individuo da annullare, il montaggio di immagini crudeli di cadaveri che inchiodano a responsabilità; la liberazione senza prospettive e il viaggio senza certezze, da clandestini (di nuovo i nomi, le parole, le espressioni legano le epoche), dovendo pagare l’ingresso, mentre i nazisti entravano in Argentina da trionfatori.
Nessun partito, organizzazione o movimento con qualche leader ha mobilitato la plaza de mayo, eppure metà dei porteños ha rischiato di farsi ammazzare da una parte dell’altra metà, il cui riferimento evidente è lo sterminio di tipo nazista, ma ha risposto all’appello delle cacerolas. E il resto del paese si è fermato e si è fatto uccidere, ha saccheggiato e urlato con gusto la propria rivolta contro tutti i padroni e tutti i partiti, traditori tutti indistintamente, ma non qualunquisticamente: l’urlo contro il potere è consapevolmente politico e non si lascia condizionare, lo dimostrano le reazioni ai tentativi di infiltrazione nei cortei, lo dimostrano i messaggi su indymedia Argentina, i documenti raccolti dalla coscienza che, come nel caso dell’olocausto, è importante non consentire l’oblio e eliminare ogni possibilità di ricostruire poi i fatti, la memoria, in modo da piegare la verità secondo gli interessi dei responsabili.
Si dirà che la fame li ha spinti: in parte è vero, però non è tutto. Quelli che erano in piazza, ci stavano perché non ne potevano più di sopportare l’insulto di essere presi in giro, derubati, costretti a scivolare sempre più in una condizione di paria nei confronti di oligarchie sempre più diverse e privilegiate, impunite; non si sono mossi finché rivendicazioni comuni non li hanno esasperati al punto da superare qualsiasi rappresentatività. Hanno inaugurato un nuovo modo di fare politica, vecchio come la Comune di Parigi e hanno tenuto in scacco una classe dirigente abituata a non doversi confrontare con nessuno. E il cinema ha scelto di non seguire il canovaccio neorealista, aveva con largo anticipo percepito cosa stava per scatenarsi: si pensi soltanto a La Cienaga.
La cienaga, Lucrecia Martel 2000 La cienaga, Lucrecia Martel 2000 La cienaga, Lucrecia Martel 2000


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Adriano Boano