La concezione di America si sviluppa chiarificandosi di volta in volta nei lavori di Araki: se in Doom Generation il regista stesso definisce "America is a ritualistic, bad, scary thing" e in Splendor diventa una trappola, in Nowhere a descrivere il moralismo della Nazione è il puritanesimo dell'asciugamano che copre l'icona di Araki in posizione statuaria finché il drappo non scivola a terra; di contro però quella società non soffoca gli sfoghi malsani espressi dal rapporto anoressico e bulimico con il cibo: nel mondo giovanile le vivande assumono coloriture e presenze vive inquietanti da consumarsi clandestinamente come rito collettivo. Tutto diventa morboso e da spremere freneticamente: cibo sesso droga e musica; ma Ian Duri è lontano anni luce da quel mondo lindo e asettico eppure lisergico: la disperazione non si ribella e l'auto-distruzione non è più una scelta sovversiva.
Contaminato è il mondo, ma in modo quasi naif: l'alieno che ha gesti amichevoli di intesa con il protagonista somiglia al mostro della laguna nera accentuando così la distanza dal mondo di plastica agito, che si poteva immaginare producesse mostri patinati, ed invece la diversità ha peculiarità preistoriche anziché no, lucertoloni squamosi lovecraftiani o bacarozzi usciti da incubi burroughsiani: due tracce di passato che per il loro carattere oppositivo rispetto al mondo artificiale si configurano come una poderosa alternativa, traumatica più delle morti, ma anche attirevole: nell'eterno contrasto tra macchine celibi e soggetti desideranti l'arcano del rettile antropomorfo appare come un virus seducente. La presenza scenica dei corpi è potenziata dal loro intersecarsi nei cessi, vere stazioni per incontri, e dagli afrori che secernono in essi. |
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