Bertetto scrisse nel 1982 (quando frequentavo i suoi seminari) un pamphlet, Il più brutto del mondo, esilarante collage di stroncature ancora valide.

L'incipit era: "Il cinema italiano oggi è il più brutto del mondo e dal dopoguerra non è mai caduto tanto in basso come negli ultimi anni. I classici, i maitres à penser del cinema italiano sono, tra tutti i grandi vecchi, quelli invecchiati peggio. Il giovane cinema italiano (quello dei Moretti, Nichetti, Giordana) era già vecchio prima di essere nato. La generazione di mezzo veleggia nei fumi dell'incenso, crede di sfornare a catena capolavori immortali e non ha nemmeno la testa per concatenare gli eventi con coerenza.
C'è una dialettica della banalità che domina incontrastata nel cinema italiano."

E non è cambiato questo stato di cose nemmeno con l'avvento di Salvatores e delle sue fughe ispirate da Cacucci, che ha vinto un terno al lotto, facendo un viaggio in Mexico e rimestando per anni attorno a quella sua palingenesi. Citi tra gli altri l'incomunicante che dipingeva gli alberi di rosso e, nemesi della vita, ora è ridotto a muta presenza demente davvero incapace di comunicare alcunché (non che si noti la differenza, ma almeno ci è risparmiata Monica Vitti): il 90 % della sua produzione è pattume oltremodo insostenibile per la sua pallosità, ma ci sono alcune pregevolezze in Blow up e Professione: Reporter e accomunerei l'esplosione di Zabrinskie Point con quella di Pierrot le fou allo scopo di costituire quella sequenza inesistente eppure presente nel nostro inconscio, valida per la classifica del più bello dei finali.

Salverei Ferreri, ma il suo non era cinema italiano, che lui stesso ripudiava, quanto europeo.
Di Leone abbiamo già detto.
Per quanto riguarda il nostro amico e concittadino Calopresti, rimanderei alla recensione che de La Seconda Volta ha fatto nel suo libro la persona che forse ha più diritto di parlare di quel film, Barbara Balzerani (Compagna luna, Feltrinelli). Purtroppo sono morti entrambi insieme al cinema italiano.