Normalmente nel cinema di Wenders c'è un'escalation nel montaggio (anche musicale) che giunge in genere a un'immagine (o a una serie di immagini) particolarmente rilevante.
Il cielo sopra Berlino: L'angelo seduto in fondo al bus, le vedute di Berlino dall'aereo all'inizio.Paris, Texas: Cameracar con Travis al volante e ultima sequenza in generale.
L'amico americano: Il maggiolino sulla spiaggia; ripetute volte Johnathan esce di casa e si dirige verso il porto; sequenza del primo delitto nel métro di Parigi.
Hammett: il private eye che infila il soprabito, sullo sfondo di una strada in salita di S. Francisco, con il carro dei pompieri che gli passa dietro la schiena. Da notare come tutto il piano sia in movimento, dal PP allo sfondo (lo faceva notare una recensione, credo su Filmcritica di tanti anni fa, che non ricordo più precisamente e che ho perso).
Lo stato delle cose: ho citato già il viaggio del protagonista da Sintra a Hollywood, con il volo dell'aereo a fianco alla luna.
Nick's Movie: la giunca nel porto, ripresa da gru o elicottero (da notare che qui, morto il protagonista vero, peraltro continuamente evocato, è un protagonista collettivo - la troupe - a perdersi nell'immagine).

 

Herzog – A differenza di Wenders è molto interessante per come apre i film:

Cuore di vetro: paesaggio rurale nella nebbia, uno jodel come musica.

Nosferatu: catacombe con il preludio dell’Oro del Reno elaborato anche elettronicamente dai Popol Vuh.

Aguirre: la montagna con la colonna di spagnoli, indios, portatori e lama che emerge dalla nebbia; un cannone cade in acqua e esplode, maiali che grufolano. Musica dei Popol Vuh.

L’effetto è avvolgente, graduale e lento nel suo climax.

Fata morgana: è precedente di alcuni anni il nostro periodo: ci mette l’ideologia (la cosmogonia della tradizione precolombiana), ma lo sguardo è contemplativo, tutto il film è di pura contemplazione, fatto di lunghissime carrellate in auto sullo sfondo di canzoni di Leonard Cohen.

Film televisivi degli anni ’90 (Apocalisse nel deserto; Echi da un paese oscuro; Tenebre, Carlo Gesualdo principe di Venosa): sono l’esplosione al massimo grado dei fenomeni che ho cercato di studiare. Non c’è un vero personaggio, neanche il compositore di musica sacra, che peraltro mise a morte la moglie che l’aveva fatto becco, Carlo Gesualdo, neanche Bokassa (Echi...). C’è l’atto di una ricerca, che si fa personaggio e, come da anni ’80, poi si autoannnulla nell’immagine e nella musica. Con Tarkovskij e forse Kiarostami è il massimo regista di paesaggio.

 

TannerDans la ville blanche: Bruno Ganz alla finestra.

 

Coppola – Rusty il selvaggio: i vari piani sulle nuvole che corrono (filiazione diretta con Sfida infernale di Ford); i pesci, uno blu, l’altro rosso, nell’acquario, unica traccia di colore nel bianco e nero generale. Ovviamente rimarchevole la musica di Stewart Copeland.

 

Scorsese – È un autore che già di per sé, per assunto suo personale, si dedica tutto al studiare la lotta del singolo contro la società, da Taxi driver al buffone rompiballe disadattato di King of Comedy, e soprattutto il Jake La Motta/De Niro. Spiccano i titoli di testa, ma anche alcuni montaggi serratissimi delle sequenze di combattimenti, come quella che ci conclude con il microfono dello speaker che scende da un angolo dell’inquadratura, o come il guantone che si avvicina, al ralenti, al volto, o come la goccia di sangue che stilla dalla corda del ring.

 

Tarkovskij – È un’eccezione perché tutto è costruito nei suoi film in funzione di queste figure, o meglio, in funzione di una poetica sua. A modo suo coerente; infatti è anche un antecedente delle nostra figura. Già in Solaris (1972) spiccano le sequenze di ricordo nostalgico della Terra; e nello Specchio (1974) si può ricordare il campo di grano mosso dal vento all’inizio.

 

Truffaut – A costo di far accaponare la pelle a qualcuno, inserirei la corsa dell’ambulanza nei titoli di testa della Signora della porta accanto perché funziona a rovescio: non conosciamo nessun personaggio, nessuno può ancora perdersi. Va vista in retrospettiva.

 

Rohmer – Essendo un rigoroso per sua natura, e anche un radicale, non ha bisogno di musica per fare implodere i personaggi nell’ambiente che li circonda. Spicca il finale delle Notti di luna piena, con una Pascale Ogier letteralmente distrutta (l’attrice morirà davvero, infatti, di lì a pochi mesi), dopo aver saputo di essere stata scaricata dal suo uomo; e così disfatta attraversa il paesaggio allucinante della banlieue borghesotta di Marne-La-Vallée (più triste di quella proletaria di Nanterre, alla Didier Daeninckx).

 

Spielberg – In ET c’è un momento strabiliante, che ricorre almeno due volte, quando poliziotti e similari si affacciano sulla città illuminata dall’alto della collina, in una combinazione di zoom e carrello che viaggiano in senso opposto e danno allo spettatore l’impressione di "cadere". Qui è un’intera collettività-personaggio, la cittadina, i bambini, a perdere la bussola. E tutti quanti sono coinvolti dal volo in bicicletta che diventa una specie di ombra cinese sullo sfondo del cielo.

 

Oshima – È in bilico sulla soglia dell’istante privilegiato e del kitsch (e a volte ci casca). Penso come begli esempi a Furyo: al bacio al ralenti di Bowie a Sakamoto, ma soprattutto al canto natalizio intonato dai prigionieri inglesi, ripreso da gru o elicottero al di sopra del campo. C’è qui un travalicamento di senso della colonna sonora. Essa parte, realisticamente, come portato dell’azione (i prigionieri cantano, la musica è reale), poi il canto cresce d’intensità (è tra l’altro motivo arcinoto ai protestanti, è una tipica Christmas Carol) e un’intera orchestra lo accompagna, del tutto irrealisticamente. Un procedimento analogo si trova nella sequenza dei funerali di Biko in Cry Freedom di Attenborough (’Nkosi sikelele Africa).

 

Kubrick – Shining: ovviamente tutto il labirinto, ovviamente i titoli di testa, ovviamente il ballo. Come si fa? E Full metal jacket? Almeno ricordiamo gli esercizi dei marine al campo, con gli attrezzi in controluce. Barry Lyndon andrebbe studiato da solo dall’inizio alla fine.

 

Scott – In Blade Runner per comodità una sola citazione, pressoché obbligata, quella del piccione che vola via dal cornicione.

 

Jarmusch – In Stranger than Paradise, le camminate in carrellata laterale con la solita canzone che ritorna.

 

Kurosawa – I Sogni sono una miniera di citazioni; il meglio è il pescheto, ai nostri fini, ma l’episodio più bello è quello della tormenta, con neve e fortissimo rumore per minuti quasi insopportabili (curioso rimando al primo racconto del bellissimo libro di Pressburger, La neve e la colpa). È un altro che estremizza la ricerca dell’immagine significativa a complemento di una definizione dei personaggi privi di reale autonomia.