Vorrei ancora portare due esempi che stanno ai margini del discorso, che sfuggono alla regola ma per questo forse la rafforzano, o almeno contribuiscono a chiarirla a modo loro. Il primo è una tendenza a concepire l’intero film (o episodio) secondo i canoni della figura che abbiamo considerato: mi sembra che in questo senso il cinema di Tarkovskij possa essere preso a esempio, direi su tutti Lo specchio, che precede di qualche anno i nostri fatidici ’80; in Nostalghia invece (1983) c’è una sequenza che rientrerebbe a buon diritto nella nostra casistica, quella in cui Josephson si dà fuoco. il problema è sempre, comunque: chi gestisce, chi è il soggetto di questa struttura, che privilegia ora il personaggio, ora la mdp, ora il montaggio, ora l’intreccio di tutti questi elementi con la recitazione, ora l’autore onnisciente? Chi è il soggetto enunciatore? Io mi rispondo che probabilmente il fascino di queste figurazioni sta proprio nell’impossibilità di definire, in queste situazioni, un io-narrante preciso (detto fra noi, che liberazione!), come se il bastone del comando passasse dall’uno all’altro incessantemente.

L’altro esempio, forse opposto, è quello del film-testamento di Huston, The Dead, condotto per più di 9/10 sulla sceneggiatura, fedelmente ricalcata sul racconto joyciano che chiude i Dubliners. Invano ci aspettiamo un colpo d’ala, una trovata registica che ci porti fuori dallo scorrere tranquillo delle festa (uno scorrere "teatrale", sostenuto peraltro dalla qualità stellare della recitazione di tutti i comprimari), finché le ultime parole (che sono quelle di Joyce) scorrono, in bocca al marito della protagonista, mentre la mdp avvolge croci e tumuli del camposanto sotto la neve, unico esterno girato da un regista ormai ultraottantenne che non poteva più deambulare.