Detto questo, si potrebbe anche aprire unulteriore parentesi e, giocando sempre con gli
esempi, divertirci a verificare un altro problema (teorico?): la struttura-figura che abbiamo enunciato, che prevede ogni tanto improvvisi o preannunciati
climax, salti connotativi (i "momenti forti" di
Daney) è in sé neutra oppure è disponibile, di volta in volta, a essere piegata a istanze diverse? Per esempio, mi sembra, essa può essere in alcuni casi "aperta" (
ai percorsi dello spettatore, alle sue scelte di privilegiare una zona di fotogramma piuttosto che le note della musica...) e in altri "chiusa", vincolante, costrittiva? Io credo che tutto sommato una figura di questo genere si presti a impostazioni diverse, e sarebbe interessante fare una ricognizione su come
gli autori più rigidi, più radicati nelle proprie convinzioni (buone o cattive) utilizzino questa nostra figura in senso più o meno costrittivo. Credo per esempio che le soggettive di molto cinema di Kieslowski (che letteralmente "guidano" per i corridoi la visione dello spettatore, che sono tutte previste al minimo dettaglio), non siano senza rapporto con il suo moralismo; e così la fotografia splendida e glaciale dell
Albero degli zoccoli va di pari passo con la presunta "autenticità" del mondo rimpianto da Olmi e da lui ideologizzato (una visione piuttosto reazionaria, ben diversa dalla visione del mondo che animava i suoi primi, bellissimi film
Il tempo si è fermato, il primo e più bello di tutti). E ancora:
Wenders mi sembra molto più "aperto", per certi aspetti è così anche Kiarostami, nonostante i campi stretti. Antonioni credo che, nellarco di una lunga carriera, abbia seguito ora luna ora laltra strada, più libero e meno oppressivo (nei confronti dello sguardo dello spettatore) con
Lavventura, più opprimente, quasi a prenderti per mano, nel fare coincidere la nevrosi con il taglio delle stesse inquadrature in
Deserto rosso.