TFF 3: erano al tff le recensioni sparse.

VINCITORI E VINTI

Vincitore: Utsukushiki-tennen di Tsubokawa Takushi. Primo lungometraggio del trentatreenne Tsubokawa che ha dedicato 10 anni della sua vita alla stesura e alla realizzazione di questo progetto (e pensare che altri, a 33 anni, venivano messi in croce…). Fa tutto da solo: sceneggiatura, regia, produzione, musica; non la fotografia, che effettivamente è la cosa che colpisce di più in questo film. Un’opera panta rei, in cui tutto scorre, il tempo in primis come ci viene suggerito da una serie di immagini che vanno dai quadri della madre della protagonista che ritrae fiori destinati ad appassire, agli insetti imbalsamati che cadono al suolo e si sbriciolano, agli anni della giovinezza passati a nascondere una pellicola nella sabbia per evitare di vedere la morte della protagonista o ricercati per imparare ad andare finalmente in bici. Se si escludono i momenti dedicati ai flashback dell’antico cinema con tanto di narratore e orchestra, il resto è sembrato noioso; mooolto noioso.

E la bici sembra il filo che lega i film giapponesi di questo anno se pensiamo al film di Wakamatsu Koji, 17-sai no fukei, storia imperniata su un’ora e mezza di pedalate. Un ragazzo in fuga in bicicletta dopo aver ucciso la madre, pedala diretto verso nord, probabilmente l’Hokkaido, verso un paesaggio (splendido!!!) sempre più freddo e innevato. È l’occasione per il regista di far incontrare al giovane - noi spettatori - sempre silente e buon ascoltatore alcuni personaggi perlopiù anziani - Wakamatsu stesso - che illustrano quale sia la via che il Giappone moderno sta prendendo. Il vecchio alla fermata dell’autobus, il pescatore di frodo, la vecchietta coreana in montagna sono tutte facce di un Giappone che non esiste più, ma viene da interrogarsi se quello attuale possa essere migliore. Non una parola esce di bocca al protagonista: i suoi pensieri vengono esplicitati in forma di poesia che si materializza in didascalie sulla pellicola. Seguire un’epopea di un’ora e mezza con dialoghi/monologhi scarni in cui l’unica azione è data da un ragazzo che pedala in bici non è decisamente una cosa semplice, eppure il film è assolutamente perturbante e quasi viene da urlare anche a noi spettatori quando la bici si rompe e il giovane la getta (finalmente libero dall’ingranaggio?) gettandola giù da un dirupo a strapiombo sul mare con un grido liberatorio.





 

Fulvio Faggiani