Editoriale

Editoriale

31/3/2002
L'intellettuale organico
(ove l'organico è vissuto in diversi sensi...)

La divertente rivolta dei transalpini contro i fantocci della cultura italiana ha dato lo spunto per un appello in difesa di suddetti fantocci... organici...
Ma, oltre allo straziante silenzio intellettuale che circonda i crimini dello stato di israele (il minuscolo è dovuto), anche il film di Szabo (A torto o a ragione), ha fornito materiale per qualche riflessione sul ruolo degli intellettuali di fronte alle scelte politiche.

Il film di Szabo non si può lasciar passare sotto silenzio.
Il film come sempre nel regista di Mephisto gioca sull'ambiguità e il fulcro è poi irrisolto e riguarda il danno che può aver arrecato al di là della collusione del genio con il potere impossibile da discriminare.

Ora, al salone del libro in Francia, i nostri letterati si sono comportati sostanzialmente bene: Consolo ha proprio a questo proposito rilasciato - prima dell'incidente Sgarbi - la dichiarazione che li assolve: "partecipo a titolo personale; rifiuto ogni sponsorizzazione governativa". Ecco: questo regime non può avvalersi di nessun intellettuale. È alla vana ricerca di una sponda intelligente e invece si deve accontentare dei prosciutti e delle cosce delle veline, invece per i nazi c'erano Heidegger e Furtwangler. Poco importa che non aderissero a pieno, il danno era che si trattava dei più grandi nei loro ambiti e non se ne andarono o non scissero le loro strade.

Il film in realtà propende di più per la tesi innocentista da come la prospetta, ma Keitel dall'alto della sua intransigenza alla Duellanti di Scott lascia intendere chiaramente che c'è anche questa posizione, da buzzurro e da antiesteta (il boogie contro Schubert: noi avremmo assolto Wilhelm, lui no; la corte sì) e forse è quella corretta: in fondo non si è sottratto al regime.

Ed esci dal cinema che ti chiedi non tanto se era colluso, quanto se l'arte può consentire qualsiasi compromesso perché è comunque superiore, oppure se c'è un limite oltre il quale non si può fingere di non vedere che si sta distruggendo la scuola pubblica, perché sennò devi spiegare il motivo per cui devi salvare gli ebrei, se non corrono pericolo.

Non si può trincerare dietro la torre eburnea dell'arte per l'arte, sennò arriva l'assicuratore di mestiere, ignorante e con metodi altrettanto nazi di interrogatorio della gestapo e ti inchioda, perché non ha la sensibilità per essere pubblico adorante e quindi non subisce il fascino del genio. È un americano (e per di più indottrinato): non può capire.

Lungo tutto il film si ribadisce che l'arte non è politica; se ne fa una bandiera e si insiste a dire da parte di Furtwangler che lui è superiore a un cittadino sottomesso a morale e politica, lui invece ha a che fare con il genio, agisce al cospetto di un'entità superiore a quello che rinfaccia al maggiore in una delle ultime battute: "Può davvero credere che l'unica realtà sia quella materiale?": secondo lui c'è qualcosa di superiore ed è il fatto che è testimone del genio musicale e dunque tutto è ammesso: il tema del film è poi questo: fino a che punto è lecito compromettersi con un regime totalitario? e questo è esponenziale nel film, perchè anche il sovietico è nella stessa situazione (con eleganza lo si fa intuire sottolineando il lapsus per cui sostituisce se stesso al direttore d'orchestra. È la sequenza migliore: due sordi. Prima che Furtwangler dica quella battuta, l'inquisitore dice: "la biasimo perché non l'hanno impiccata, per la sua viltà", ma i termini non sono quelli, poiché noi dovremmo andarcene e lasciare in Italia quel 50 % di stronzi (la parte più ignorante e meno sana del paese) che si identificano con la destra becera , oppure comunque redarre un sito che si trincera dietro ad analisi in cui la politica ha poco a che fare; e anche questo è ribadito nel film: lui non se ne va perché non è ebreo e se proferisce qualche frase antisemita lo fa, "per adeguarsi al linguaggio di qualche membro del partito", dunque è solo una questione di codici, ma per l'assicuratore valgono i filmati dell'olocausto.

Da noi questo non è ancora avvenuto o forse sta cominciando ad avvenire e dovremmo accorgercene fra qualche anno quando ci troveremo con qualche tribunale inquisitorio che si fonderà su schedari collazionati da zelanti funzionari del regime, che registrano tutte le puntate de tg7 di Ferrara. Si potrebbero usare molti più carrelli laterali in questa contingenza storica: sono adatti a riprendere senza pregiudizi figure in una contingenza particolare di adesione: scorrono su uno sfondo propagandistico con le loro facce e noi spettatori osserviamo: c'è distacco e giudizio, anzi condanna preventiva, eppure ci si sente estranei, salvo poi trovarsi con un regime e non siamo ancora scappati e tutto è compreso in una sequenza: all'inizio è sottolineata un'esitazione nella stretta di mano tra il direttore d'orchestra e il ministro della cultura, poi le due mani si congiungono: quella è la soglia che vale la condanna morale.

Eppure il dubbio frulla per il capo: quanto questo atteggiamento intransigente è frutto di meditato discernimento e quanto è invece propaganda cieca, quella che passa attraverso l'orrore dei filmini che poi estendono a tutto il popolo il sospetto di potenziale nazista in qualsiasi passante incrociato e che fa usare all'inquisitore lo stesso termine che usava Goebbels per l'arte non allineata: "degenerata" (ci sono differenze con lo show di Sgarbi?), l'aggettivo più usato dai cialtroni buzzurri, il cui livore si rivolge ai geni perché sono consapevoli di non potervisi nemmeno avvicinare e traspare l'incomprensione per un mondo di colti da parte di un ignorante, vincitore tra i vincitori che non hanno imparato nulla dalle colonizzazioni precedenti e "volete farci vivere come voi": come non leggere un evidente allusione alla globalizzazione del gusto...

Ma "Politica e Arte devono davvero restare separate?".

Eppure dalle descrizioni degli orchestrali che costruiscono la figura del direttore prima che appaia, risulta indiscriminata l'ammirazione, anche perché rappresenta uno dei collanti per l'Heimat, quel sentimento che trascende il nazionalismo e rende il popolo tedesco un unico corpo che ammira ed è grato a Furtwangler per aver dato un appiglio per resistere durante la guerra. come forse dovremmo fare noi al cospetto della pattuglia di intellettuali come Tabucchi, Ammaniti o Luzi (per dire tre generazioni) che esportano la cultura italiana nonostante il regime che si va instaurando. Ma perché restiamo? perché suoniamo per loro? Per ora non abbiamo aderito a nessuna iniziativa berlusconide e probabilmente no lo faremo mai, ma quanti lo hanno già fatto?

Adriano Boano e Marcello Testi

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