Editoriale

Editoriale

27/12/2001
Senza 2001 / Senza Futuro

E’ tradizione delle rubriche di cinema dedicare la chiusura annuale ai consuntivi: i film più visti (dato oggettivo, basta guardare gli incassi), o i film più belli (dominio del gusto, poco interessante). Ma il 2001 del cinema è un compasso che misura distanze siderali — dal volo di Kubrick, dal presente che quel cinema aveva prefigurato con immagini rarefatte e potenti come promesse non mantenute. Troppo esile il cinema del 2001, rinunciatario e involuto. Lo sostengono frammenti isolati, sussulti che squassano il petto di un linguaggio poco più che centenario: quel riso meccanico, straniante dell’automa-bambino in A.I. — Intelligenza artificiale, la soggettiva della donna che indovina un’alba nella trama fitta del burqa in Viaggio a Kandahar. Il senso ridotto a brandelli del cinema visto (visto una volta, visto male, non visto, parafrasando Serge Daney) ci restituisce una forma imperfetta, discontinua, che vive di deja-vu semplici: Apocalypse now redux, (ri)amalgama non-finito di visioni coppoliane, progetto ossessivo di assemblaggio, o L’uomo che non c’era dei Coen, un modo di dire il cinema che non c’è; o di anacronismi composti: Operai, contadini di Straub-Huillet, dalla parte dei non riconciliati con De Oliveira/Gitai/Hou/Olmi/Oshima.

Cinema sovresposto o cinema invisibile, saturazione o vuoto.

L’uomo che non c’era - Coen Bros.

Cinema interstiziale, residuale (La promessa, Betty Love), interregional-tribale (Djomeh, Luna rossa), spettacolo mancante/mancato (Il pianeta delle scimmie, Moulin rouge), rimosso (Chimera) o senza complessi (Seidl, Pannone) ma soprattutto dissolvente(si).

Il cinema è un’invenzione senza futuro.