Editoriale

Editoriale

4/7/2001
Il film del G8...

Spartacus - Stanley Kubrick

 

Stalker - Andrei Tarkosvski

 

Requiem for a dream - Darren Aronofski

 

Il pianeta delle scimmie

 

Funny Games - Michael Haneke

 

La strategia della lumaca - Sergio Cabrera

 

Robocop

 

L'angelo sterminatore - Luis Buñuel

 

NoLogo - Naomi Klein

 

Incontri ravvicinati del terzo tipo - Steven Spielberg

Come possiamo mancare? Forse non ci metteremo contro luce alla finestra per vedere se ci notano di più che se non ci fossimo; sicuramente non porteremo una chitarra come unica arma, pur se — rimanendo legati a passate note "clandestine" — non ci esimeremo dall’accennare alcuni passi di "vaca loca"; probabilmente non saremo dotati di mezzi di riproduzione, ma ci saranno già molti pronti a immortalare l’evento secondo canoni già ingialliti dal tempo: tutto sarà documentato, tranne quello che rimarrà fuori campo… e sarà la vera essenza del reportage cinematografico, poiché in base al tasso di tensione che si sarà ottenuto, ci verranno riproposte innumerevoli volte le stesse immagini, mai quelle significative ma cartoline riassuntive del taglio che si è deciso debba caratterizzarne la memoria, come per il funerale di Walter Rossi… i morti di Reggio Emilia, Piazza della Loggia o gli scontri di Valle Giulia, Piazza Fontana …, lo sparo per Giorgiana Masi.

Già dal festival cinema ambiente riportammo una ottima impressione delle capacità di riferire un avvenimento da parte della rete Indymedia; ora il network alternativo è cresciuto e fa opinione, forse la prospettiva è un po’ mutata: la copertura data agli avvenimenti di Göteborg allarma per la capacità del sistema mediatico globalizzato di fagocitare le iniziative indipendenti; mentre a Seattle, sorpresi, furono costretti ad avvalersi delle immagini già pubblicate dalla rete antagonista, in Svezia si sono avvalsi della risonanza data dal circuito alternativo per far salire il "valore" — squallidamente economico — della notizia… e della pallottola nella schiena di un ragazzo, più prezioso di un coetaneo palestinese solo perché più raro. Tuttavia da sempre la controinformazione deve possedere nei suoi anticorpi la capacità di affrancarsi dalle etichette e dal tentativo di venire cooptati e non dubitiamo che le infinite realtà plurali che hanno dato luogo al documentario in fieri sulla protesta praghese contro il precedente G8 possiedano gli anticorpi giusti per restituire quell’atmosfera che si respirerà a Genova il 19, 20, 21 luglio (e non quella del documento storico già archiviato).

E dunque possiamo esimerci dal tentare di crearci un nostro film da confrontare con quello, ufficiale e museale — e per questo un po’ alieno dallo spirito che dovrebbe animare lo sberleffo al potere imperiale — di Maselli e c.? A noi interessa registrare l’epoca, ma ancora di più le singole espressioni delle persone che riescono ancora a pensare autonomamente, non sono ancora baccelli siegeliani. Se rintracceremo un’inquadratura nell’enorme tourbillon di fotogrammi che ci sembrerà degna di apparire nel nostro film, la cattureremo e perpetueremo. Per ora iniziamo a crearci il nostro film mentale; in fondo è uno dei mezzi che abbiamo per restituire un po’ della loro globalizzazione: hanno tentato di occupaci l’immaginario e dunque possiamo restituire parte delle sequenze che i "Grandi" hanno formalizzato a consumo dei "piccoli": se opportunamente metabolizzato qualsiasi fotogramma inviatoci può diventare un boomerang. Seppelliamoli sotto i loro stessi film, magari mutando la risata di un tempo in un sogghigno più cinico e disincantato.

Iniziamo a fornire belle immagini: quelle che vorremmo vedere. Anzi due sequenze ci accarezzano l’immaginazione: una, più spettacolare, apre su un golfo deserto, pieno soltanto di sbirraglia: mancano le fossettine sulle guance di Kirk Douglas e pure la nobiltà dello schiavo ribelle Spartacus viene a mancare, alle milizie romane rimane però la propensione a essere schiavi, anzi servi (ci sono modi diversi di mantenere le proprie famiglie, tutti più dignitosi, con buona pace di Pasolini e del suo epigono di Arcore; ovviamente questo vale anche per tutti quei sottoposti che, pur svolgendo mansioni apparentemente meno prone al volere del potere — impiegati, sindacalisti, consulenti in pensione… — si riducono a essere zerbini dei loro padroni, contraddistinti da un bel tatuaggio che corre lungo il loro corpo: "welcome", che farebbe il divertimento del tatuaggio di Kitano beat Takeshi): si preparano all’ultimo scontro… e non sono proprio tranquille le truppe della soldataglia di Darth Veter silenziosa e agghindata attorno a sei grandi, un nano e un pezzente provenente dal freddo del kgb. I singoli stacchi su un’atmosfera immota ridotta alla "zona" — né rossa né gialla, solo "zona" già globalizzata — dello Stalker, lo sguardo che diventa strada e desolazione, dell’occhio/dell’ambiente — qualche cespuglio rotolante nel vento può dare l’idea di ghost village e di una sfida infernale o della fine di un ‘epoca come nelle sequenze iniziali di Nickelodeon di Bogdanovich — sono riempiti da figure scure, bardate come Robocop che nei movimenti delle cineprese finiscono con l’incombere, lo spazio ne è soffocato. Ogni stacco s’inizia con un momento di fissità nel quale si consuma l’attesa di un qualche evento, di qualcosa che faccia capolino all’orizzonte, per sottolineare la spasmodica ricerca di qualcosa che sfugge si può alternare una serie sempre uguale di gesti secchi di pochissimi fotogrammi come nello stile dei due film di Aronofski: ad esempio la ricarica nervosa di un fucile e la dilatazione della pupilla di un giornalista alla spasmodica ricerca di un casseur da colpire alla schiena per un Pulitzer, concitato nell’invio estenuante di sms via cellulare; l’auricolare pendente è d’obbligo inquadrarla, spezzettandola con gli ordini autoritari di un celerino, evidenziando gli spruzzi di saliva che inondano il radiomicrofono nel controluce della gibigiana dei riflessi sul mare; invece il nulla ricercato dal lento movimento della panoramica non fa che suggerire l’esistenza di un disastro ordito e scatenato nel passato, di cui quel deserto riporta solo pallide vestigia come il frammento di statua della libertà, antico frammento di una passata civiltà nel Pianeta delle scimmie.

E allora i teleobiettivi sui tombini chiusi ermeticamente ondeggianti nei vapori sollevati dal caldo delle strade assolate cominciano ad allargarsi: un dolly pencola sulle teste dei gendarmi schierati e supera la cortina di ferro levante/ponente, brevemente li vediamo tutti in fila dietro gli scudi luccicanti a difendere il Day after, la testuggine romana del Gladiatore/Crowe; lo sguardo si allontana e attraversa alcune strade prima di venire catturato da un movimento su una stradina: una delle ultime 2CV — Naomi Klein scuserà il logo affiorato dal fondo dell’immaginazione, ma in fondo anche lei nel suo cognome calviniano… — corre laggiù in basso e la mdp viene attratta (come all’inizio di Funny Games e di Shining) dal veicolo in movimento che rilascia un alone musicale indistinto fatto di contaminazioni, va verso ponente, supera alcune colline e improvvisamente al di là dell’ennesima altura, come in Incontri ravvicinati del terzo tipo, trova una massa enorme di persone che avanza discutendo di sviluppo insostenibile, di multinazionali, di sfruttamento mondiale, di arroganza padronale, di assenza di rispetto, di lavoro incondizionato (condizioni inaccettabili, assenza di regole, nessuna libertà nemmeno condizionata e fine pena mai), di subordinazione femminile, in una parola: di fascismo, quell’orrore messo in piedi dal capitalismo 80 anni fa per impedire l’equa distribuzione delle risorse. Quel mare in movimento a sorpresa si è dato appuntamento a Ventimiglia e a Nizza, la cittadina della Costa Azzurra che cerca da quasi 80 anni una riabilitazione dagli strali anti-borghesi di Jean Vigo. Dai due lati hanno premuto su una frontiera, scardinandone il concetto, schiacciandolo da ambo le parti, i primi piani sempre più stretti confondendosi con i dettagli cancellano la linea invisibile amalgamando tutto; particolari sui cartelli che occupano l’intero schermo, dichiarazioni programmatiche degne dei film militanti di Godard fanno scempio delle convenzioni e, in due giorni di carnevale di strada ripreso da Ariane Mnouchkine per fare una riedizione di 1789, arrivano di fronte ai vopos del nuovo muro contro il diritto di movimento degli umani: il Checkpoint Colòn del muro di Genova, da un lato tutti i piccoli e dall’altro pochi grandi, che cercano di entrare in un Palazzo Ducale… evanescente.

Infatti la troupe di La Strategia della lumaca si è ritrovata e da alcune settimane è impegnata in una proiezione fuori programma del film: stanno trasferendo nottetempo con un sistema di carrucole l’intero palazzo nella zona levantina della città, lasciando agli 8 grandi un grande trompe l’oeil, mai commisurabile al loro fumo negli obbiettivi del mondo. In una transustanziazione new age il trompe l’oeil lascia entrare i Grandi ma il remake di L’Angelo sterminatore incombe e non ne escono più, vanno sciogliendosi in un delizioso blob multicolor pieno dei residui tossici dello staff G8; sui titoli di coda si assiste al sacrificio di una delle amene cittadine costiere, Spotorno, dove si scava la necessaria buca coibentata al fine di non disperdere nell’ambiente le sostanze non biodegradabili: l’acume di Bush, il trotszkismo di Jospin, le amicizie di Fischer, gli Zorzi giapponesi, i posti di lavoro di Aznar,… le bombe di Blair. 

Aggiungete i vostri film mentali nel campo messo a disposizione qui sotto e magari uno dei 40 registi prenderà spunto per un montaggio veramente di base.