Editoriale

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7/4/2001
Letture di fisica: i corpi nei film (e non solo)
La scomparsa

Una fortunata coincidenza (?!) ha mandato in edicola e in libreria, nella stessa settimana (l’ultima di marzo) il più recente romanzo di Don DeLillo (Body Art, Einaudi) e Dylan Dog n. 175 ("Il seme della follia"). A ognuno il suo, ovvio. Però è curioso notare che entrambe le pubblicazioni ruotano intorno a un’assenza, la sparizione fisica di una persona cara, che tuttavia non sparisce completamente. Se è logico aspettarsi che quanti restano su questa terra fronteggino il lutto e la separazione con la memoria, con l’associazione di idee, riattraversando gli spazi percorsi con l’amato o l’amata e riandando ai tempi felici dell’unione, è certo meno ricorrente che queste presenze "della memoria" si riaffaccino anche alla percezione dei sensi.

The Weight of the Water di Kathryn BigelowUn sistema di percezioni allargate che coinvolge l'universo degli inserti a-cronici sempre più cogenti in The Weight of the Water di Kathryn Bigelow dove il tempo può scorrere in entrambe le direzioni — solo in una direzione avvengono i condizionamenti temporali ma sempre attraverso sensazioni tattili che risvegliano la ricostruzione del fatto di sangue — per dare luogo a quella memoria e rendere conto di quelle tracce ancora in presenza della persona di cui si sta preparando il destino con la cognizione della sua graduale presa di distanza, consentendo di confondere le percezioni dei singoli individui, facendo interagire i contemporanei con gli eventi del 1873, molto più vividi e interagenti con il presente di quanto non avvenga per il rapporto tra i coniugi ospitati sulla stessa barca nel medesimo tempo, ma forse in realtà il buco temporale talvolta devia verso Il coltello nell'acqua o Ore 10, calma piatta.

Infognata in una squallida storia di produzioni video "estreme", Amber, una delle tante fidanzate di Dylan (Dog, non Thomas: il poeta è forse alluso dal nome — Thomas appunto — dello scrittore interepretato da Sean Penn nel film di Bigelow), gli viene uccisa sotto gli occhi, immolata su una pira da un gruppo di balordi. Da allora l’indagatore dell’incubo si fa non più detective ma parte attiva di comportamenti deliranti e sconclusionati (il seme, appunto, è stato gettato e fruttifica) e i suoi rari momenti di lucidità vengono travolti dalle apparizioni della ragazza, che gli si materializza davanti. Apparizione mentale? Questa è sicura; ma si tratta solo di questo? Di più, sul fumetto, non si può dire, qualcuno potrebbe essere tentato di dar fuoco a chi abbia troppo svelato. Ma merita.

Dylan Dog n. 175 (Il seme della follia)

Invece qualche elemento in più del lavoro di Bigelow si può "svelare": Il mistero dell'acqua è un oggetto fisico in forma di pellicola (e di cicatrici che uniscono destini, lasciano tracce a distanza di secoli): la forma fotografica presente dentro al testo (la protagonista è una fotografa: "la fotografia incornicia il mondo", ma deve accettare il rifiuto di riconoscere da parte di Thomas, lo scrittore premio Pullitzer in crisi di creatività — professionalmente "suicida", come lo scrittore di De Lillo —, che nega si tratti di un lavoro che cerca di fermare il tempo, infatti… ) e fuori di esso ai limiti del codice (le segnalazioni dell'uso del linguaggio in senso narrativo: quando la regista e il suo alter ego scattano una foto noi vediamo in bianco e nero ma in movimento, tanto la selezione di quell'immagine che blocca il gesto viene fatta dalla nostra percezione: in quel modo la foto in quanto fissità viene messa fuori campo e rimane la sensazione di un avvertimento. Bigelow riserva il fermo di fotogramma a bloccare il momento delle presentazioni, perché il fulcro del film è la tematica dell'attimo che contiene tutto — amore rabbia furore sentimento.) esalta i corpi come sostanza pressandoli, fin dalla prima sequenza, la cattura del capro espiatorio, dove la mdp penetra la massa di corpi che incalza e insegue il rinculare dell'uomo catturato; allo stesso modo scruta le barbe e i volti dei puritani del New Hampshire; persino gli sguardi sulla barca sono tangibili e fatti di passione proibita e disperata comprensione del desiderio altrui, ma concreti, con un loro spessore liquido come l'acqua densa in cui la fotografa incontrerà il corpo annegato, soffocato nella repressione bigotta del desiderio che lo trasforma in sofferenza, dunque in qualcosa ancora più inerente il corpo, estrema percezione, tattile e immersa in uno stato anomalo che racchiude come un involucro l'universo delle post e pre-monizioni tutte compresenti nello stesso istante, vivide presenze presenti nel presente. Il tutto pervaso da una concretezza iper-reale data dall'estrema evidenza dei dettagli, dalla forte connotazione epidermica dello schermo che infonde la sensazione che tutto sia molto tangibile, ben più di una apparizione mentale e anche più dell'effetto dello squid, e senza bisogno di sostanze artificiali.

Quanto a DeLillo, il titolo fa riferimento all’attività della protagonista Lauren, il cui marito, regista e sceneggiatore di un certo successo (ma è lecito dubitare del favore della critica) dopo poche decine di pagine si uccide. La vita della donna si esprime allora secondo due coordinate: la pratica artistica di lavoro sul proprio corpo, al confine con l’ascesi, e, prima ancora nello sviluppo del libro, l’incontro con una specie di Enfant sauvage, sprovveduto e misterioso uomo dal corpo di ragazzo, giunto in casa sua non si sa da dove, in mutande. Particolarità del novello E.T. è quella di riprodurre, senza averne consapevolezza, atteggiamenti e discorsi del fu marito, come in un vecchio film di Carpenter: Starman. Un mistero, e ancora più misterioso è perché Lauren consideri tutto sommato questa presenza come ovvia e naturale, vi si adatti, cerchi il suo contatto (anche esplicito e materiale, suvvia) e poi accetti come altrettanto naturale la sparizione (puf) del medesimo alieno-clone.

Don DeLillo (Body Art)A questo punto le interpretazioni lecite sono molte. Se dal punto di vista stilistico, a proposito del quale Fernanda Pivano ha notato come il linguaggio di DeLillo si avvicini sempre più a quello di Beckett, vien subito fatto di pensare che la scomparsa della persona porti all’ossessione e alla materializzazione di un’evidenza residua della persona scomparsa. Forse l’incarnazione della medesima è meno rilevante, meno rilevante il "supporto" materiale che le viene attribuito; forse conta di più l’operazione mentale di sguardo collegato alla memoria; forse il ragazzo venuto dalla soffitta esiste solo in quanto viene percepito (come non pensare a Deleuze e alla sua lettura, via Bergson, di Film, di Beckett-Schneider-Keaton)? Oppure ancora: come non chiedersi quali strategie offre il cinema a chi voglia mostrare l’inesprimibile? Già: quali strategie? Una consiste nel mostrare l’inesprimibile attraverso ciò che invece si può vedere, cioè le reazioni degli altri esseri fisici. La scena, carica di speranza ma in sé terrificante, della "resurrezione" in Ordet si gioca sulla defunta che si solleva dal catafalco solo in seconda battuta (cioè a resurrezione avvenuta: siamo ritornati alla vita normale); prima, ed è qui il terrifico, non potendo mostrare l’atto di risorgere, si vede il volto della bambina che si illumina dopo le frasi blasfeme del fratello della morta. Qualcosa è avvenuto, che il cinema non può mostrare. Può mostrare le sue conseguenze sugli altri. Dopo il corpo risorto è di nuovo filmabile.

I corpi in The Weight of the Water sono "spogliati della vita", perché gradualmente si mostrano e si "svelano" (togliendo il velo alla sposa pietosamente coperta dal suo assassino), nonostante perfino i fogli volino a cercare di coprire il corpo della ragazza, nuda al sole, un corpo che diventa testo di documenti antichi che raccontano la sua stessa storia riproposta modernizzata, come un cut off burroughsiano fatto di puzzle a metà tra linguaggio scritto e pelle esposta e coperta nell'eccitazione della seduzione/passione, citato nel momento in cui Thomas si burla della ammiratrice, presentandosi come Burroughs, quindi usando la fisicità di un morto, ma soprattutto per mediare le sue forme di corpi ambigui e in costante trasformazione; perché il film è occasione per una lenta presa di coscienza del proprio operato e del proprio stato, che comprende anche l'acquisizione della coscienza di ciò che si è stati, fisicamente e come individui che percepiscono; perché devono accogliere l'assunzione di responsabilità, non quella sarcasticamente citata del "responsabile unico come Lee Oswald", ma quella che trasmette il corpo nel momento in cui si usa un'accetta, arma che "richiede impunità": infatti il commento preciso e riferito al corpo umano è profondamente anatomico: "la vibrazione che si trasmette all'osso, il sangue caldo che schizza addosso". Il tutto a partire da due condizioni di crisi: la rabbia del 1873 e il disagio del 2000; le emozioni compresse che si manifestano tutte in un solo istante, un solo gesto, un'unica espressione fisica, che il corpo non può più costringere… in entrambe le situazioni, che si uniscono anche attraverso il proseguimento dei gesti da un tempo all'altro: la violenza della sediata si trasforma nella boma che fende lo spazio della barca grazie al montaggio. Le azioni ricalcano un copione che ricostruisce, facendo rivivere corpi, rivelandoli, esattamente come capita in The Gift di Raimi, dove il corpo della giovane uccisa continua a ossessionare la "veggente" apparendo per ogni dove, rivelandosi ma senza espressività, se non quella che le conferisce dall'esterno il montaggio, mentre nei casi di De Lillo, Dylan Dog e Bigelow c'è una costante interazione di corpi "vivi", come quello salvifico dell'apparizione del finale di The Gift, quando la percezione si materializza in modo inspiegabile e l'ectoplasma interviene, è tangibile, agisce evocato chissà come…

Oppure... Oppure. Oppure si gioca sul piano temporale, si rievoca (in una concezione estesa a dismisura della soggettiva) un passato che coinvolge chi è scomparso e chi resta, in un’immagine tutta mentale. In maniera esplicita: Hiroshima mon amour, cioè la rievocazione fatta a due, come parte del rapporto amoroso, in maniera sistematica, correndo il rischio di farsi esplodere il rapporto in corso d’opera. Cambi di registro chiariscono comunque che l’operazione è mentale, benché in complicità. In maniera sempre esplicita, ma senza fornire marche di traslazione (senza esplicitare la figura del flashback con dissolvenze, musiche varie, flou e quant’altro) ci si provava forse il solo Buñuel, che passa negli ultimi film da un piano all’altro, da un’epoca all’altra, dalla realtà al sogno al "sogno nel sogno" in tutta naturalezza (già, ma era Buñuel). Oppure si crea un clima. Fantasmi che non si materializzano ma ti condizionano. Che possono materializzarsi nella narrazione, nell’evento esplicito e magari solo a posteriori essere ricondotti a un pensiero. La sfida è aperta a trovare esempi di questo genere. Io ci metto il bambino del Silenzio di Makhmalbaf.

Adriano Boano, Alberto Corsani

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