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sequenze da applauso
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La signora senza Camelie - Michelangelo Antonioni

Al "Fiamma", gremito in ogni ordine di posti, si proietta l’ultimo successo di Clara Manni, la nuova diva del cinema italiano. L’attrice entra in sala di soppiatto, per una visione rubata: un momento di complicità tra se stessa e il proprio personaggio sullo schermo, impegnato in un numero canoro. Solo un istante, e poi fuori, lontano dallo schermo che rimanda un primo piano intenso. Frattanto sopraggiungono due spettatori ugualmente particolari: i produttori del film, che confabulano tra loro, disturbando gli spettatori comuni che chiedono il silenzio. La pellicola è giunta al termine, e il pubblico si accalca verso l’uscita.

E’ una delle prime inquadrature de "La signora senza camelie" (1953), secondo lungometraggio di un Antonioni già consapevole, per così dire, delle problematiche autoreferenziali del linguaggio cinematografico. La macchina da presa si trova nella sala cinematografica; lo stadio iniziale (il set) coincide con lo stadio finale del processo realizzativo (la proiezione), ed è perfettamente logico che qui s’incontrino i principali protagonisti del suddetto processo: i due produttori, la diva, il film come prodotto finito, il pubblico come terminale. La panoramica da destra a sinistra introduce l’ambiente della sala; l’inquadratura procede senza stacchi; la panoramica di ritorno segue l’uscita del pubblico. I personaggi sono rigorosamente di spalle, con lo sguardo rivolto allo schermo.

In questo modo Antonioni mette in pratica una serie di operazioni strettamente connesse:

1 — interferenza realtà/finzione (rinvio al fuori scena, considerazioni di carattere generale, si pensi pure ad alcune assonanze tra la Clara Manni e la vicenda biografica dell’attrice Lucia Bosè)

2 — posizione dello spettatore reale (rinvio all’atto della visione, lo spettatore delega lo sguardo alla macchina da presa, identificazione primaria)

3 — intreccio di predestinazione (tutte le informazioni narrative contenute all’inizio del film)

4 — uso del piano-sequenza nella direzione dell’elenco simbolico (e dunque non realistico, come vorrebbe la teoria del "montaggio proibito" di Bazin)

"Quello di Antonioni", osservava acutamente Giorgio Tinazzi nel "Castoro" sul regista ferrarese, "sta già diventando un discorso mediato".

Luca Bandirali

Al "Fiamma", gremito in ogni ordine di posti, si proietta l’ultimo successo di Clara Manni, la nuova diva del cinema italiano. L’attrice entra in sala di soppiatto, per una visione rubata: un momento di complicità tra se stessa e il proprio personaggio sullo schermo, impegnato in un numero canoro. Solo un istante, e poi fuori, lontano dallo schermo che rimanda un primo piano intenso. Frattanto sopraggiungono due spettatori ugualmente particolari: i produttori del film, che confabulano tra loro, disturbando gli spettatori comuni che chiedono il silenzio. La pellicola è giunta al termine, e il pubblico si accalca verso l’uscita.

E’ una delle prime inquadrature de "La signora senza camelie" (1953), secondo lungometraggio di un Antonioni già consapevole, per così dire, delle problematiche autoreferenziali del linguaggio cinematografico. La macchina da presa si trova nella sala cinematografica; lo stadio iniziale (il set) coincide con lo stadio finale del processo realizzativo (la proiezione), ed è perfettamente logico che qui s’incontrino i principali protagonisti del suddetto processo: i due produttori, la diva, il film come prodotto finito, il pubblico come terminale. La panoramica da destra a sinistra introduce l’ambiente della sala; l’inquadratura procede senza stacchi; la panoramica di ritorno segue l’uscita del pubblico. I personaggi sono rigorosamente di spalle, con lo sguardo rivolto allo schermo.

In questo modo Antonioni mette in pratica una serie di operazioni strettamente connesse:

1 — interferenza realtà/finzione (rinvio al fuori scena, considerazioni di carattere generale, si pensi pure ad alcune assonanze tra la Clara Manni e la vicenda biografica dell’attrice Lucia Bosè)

2 — posizione dello spettatore reale (rinvio all’atto della visione, lo spettatore delega lo sguardo alla macchina da presa, identificazione primaria)

3 — intreccio di predestinazione (tutte le informazioni narrative contenute all’inizio del film)

4 — uso del piano-sequenza nella direzione dell’elenco simbolico (e dunque non realistico, come vorrebbe la teoria del "montaggio proibito" di Bazin)

"Quello di Antonioni", osservava acutamente Giorgio Tinazzi nel "Castoro" sul regista ferrarese, "sta già diventando un discorso mediato".

Luca Bandirali